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Notizie random per predatori :D

Norba (Norma) ed alcuni altri esempi di mura poligonali curve

Norba, antica città, stupenda ed immortale,

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dei suoi resti, citati da diversi studiosi e archeologi ufficiali con datazione pari al IV° sec., VI° sec.dc., non parleremo, soprattutto per il fatto che le ricostruzioni si basano su quanto scrivevano antichi storiografi romani, allontanando ogni dubbio ulteriore per il solo ritrovamento archeologico di antiche monete romane (???)… proprio a due passi dalle sue antiche mura megalitiche e le sue acropoli orientate ai solstizi…

ci soffermeremo infatti  sulle sue mura , poligonali, eccezionali, che si innestano sulla roccia e proseguono alte verso il cielo lungo la linea che si collega alla terra verso sud- sud est, visto che per lo più? Norba è posata sulla sommità dell’ultimo promontorio dei monti lepini ed è a strapiombo sulla pianura pontina ed il mar tirreno.

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p.ruggeri www.megalithic.it (Norba )

Queste, sono identiche per molti versi a quelle di Alatri, così come insegna G.Magli, nel suo libro “antiche civiltà megalitiche del lazio”, alla mente resta impressa la maestosa entrata di porta maggiore con la sua torre, mentre lo sguardo si infila carico di curiosità poco prima verso la sinistra, li dove si scorge la posterula voluta dai costruttori, come la gemella della Porta dei Falli di Alatri.

Davvero avere la cognizione, di persona, delle somiglianze tra le mura delle due città è incredibile, lascia perplessi e incuriositi, non fosse altro anche per l’allineamento al solstizio di entrambe le acropoli.

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p.ruggeri www.megalithic.it (Ferentino)

Norba e la sua torre della porta maggiore Aè forse l’unicum che rende differente l’entrata dell’acropoli rispetto tutte le altre, le strutture colpiscono dritte nella testa a suggerire qualcosa di già visto e di rarissimo allo stesso tempo.

Le mura poligonali sono sempre disegnate con angoli e linee rette ed è raro trovare delle curve lungo il percorso cittadino, anche se a ben vedere, anche a Ferentino alla sinistra della via consolare se ne trova un altra, una curva megalitica poligonale , sempre rara ed è la massima espressione dell’architettura oscura dei popoli costruttori poligonali.

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p.ruggeri ww.megalithic.it (Norba torre porta maggiore)
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Norba secondo quanto archeologicamente attestato era dotata di una acropoli minore e di una acropoli maggiore, appena entrati ci rendiamo conto che l’antico centro è ancora stupendo, sospeso nell’aria con uno sguardo sul mare ed uno sui monti, appena superata la porta maggiore tutto sembra tornare indietro nel tempo, una volta dentro, sotto lo sguardo del curioso, si dipana la prima strada riaffiorante che conduce alla acropoli maggiore,

mentre, per lo più, i rinvenimenti archeologici attualmente valorizzati sono verso la sinistra del visitatore verso l’acropoli minore proprio alla sommità della posterula che chiameremo porta minore.

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p.ruggeri www.megalithic.it (norba cisterna in opera polig.)

Tra i rinvenimenti che balzano agli occhi, andando verso la collina dell’acropoli maggiore ci si imbatte in un ritrovamento che somiglia ad una vasca, una cisterna, un quadrato di mura poligonali che ho trovato interessante da fotografare: il quadrato di massi poligonali sfiora i 3 metri dal calpestio, 3 metri che ci separano da migliaia di anni.

sapinuva
sapinuwa turchia foto tratta da google

La cosa è abbastanza curiosa e mi ha fatto pensare molto perchè raramente si trova una cisterna in opera poligonale, rettangolare con massi senza calce e solo ora, passati alcuni giorni di ricerca mi sono imbattuto in qualcosa di simile e di identica funzione, la cosa strana è che l’altra struttura si trova nell’attuale Turchia ed è datata precedentemente perchè attribuita senza dubbio agli Hittiti di Sapinuva, città vicina alla famosa capitale Hattusa, che secondo gli studi di don Giuseppe Capone (ed Ornello Tofani più recentemente) avrebbe Alatri come gemella italica. Quindi come vedete le caratteristiche somiglianti dei siti laziali a quelli turchi-hittiti sono impressionanti, tale riscontro andrebbe a cozzare contro la tesi della datazione attuale delle due città laziali rispetto a le loro gemelle turche-ittite con una differenza di più di mille anni in meno tra le prime e le seconde.

Allo stesso modo lo spunto di ricerca che ci guida è la straordinarietà della costruzione di mura megalitiche poligonali con linee curve, perchè di tali esempi effettivamente se ne trovano davvero pochi oltre a quelli appena citati ve ne sono altri che sono sicuramente degni di nota tra questi spicca la zona sita nel continente americo-latino.

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p.ruggeri www.megalithic.it norba particolare cisterna

Infatti in Perù sulle alture di Sillustani si stagliano delle strutture coniche molto simili alle torri megalitiche o strutture curve delle cinta murarie.

(Mi rendo conto che per poter aprire una ricerca su queste particolarità avrei dovuto possedere quella documentazione minima su tante altre torri megalitiche del mondo da aprire una biblioteca apposita, ma già solo da una prima occhiata non si resiste a trovare connessioni tra questi edifici particolarmente difficili da erigere.)

https://www.google.it/search?q=sillustani&espv=2&biw=1366&bih=667&source=lnms&tbm=isch&sa=X&sqi=2&ved=0CAYQ_AUoAWoVChMI3LynmdC6yAIVx7sUCh14hgWi#imgrc=E53RGUWyxIxCuM%3A
(chulpa di sillustani sul lago titicaca )https://www.google.it/search

Va da subito inteso che mentre nel caso di Ferentino e Norba l’opera poligonale è fittamente composta di massi poligonali e aventi una facciata curva, nel caso dei peruviani Chulpa, i massi sembrerebbero tendere più alla regolarità del tipo di pietra perfettamente leviga e tendente a facciate quadrangolare rettangolare, sempre con almeno un lato curvo, ma la somiglianza eccezionale.sillustani inside

Altro discorso per la questione che riguarda l’intento architettonico di base degli autori infatti mentre nel caso delle città laziali le parti curve o le porte con torri erano si, staccate dai muri, ma facenti parte di un unico recinto murario, quelle peruviane sono singole nel paesaggio e non ci sono segni di recinti ed altro degno di nota, gli archeologi teorizzano la funzione funeraria in Perù , al contrario quelle laziali sono connesse alla vitalità di antiche poleis.

L’interno di queste strutture:

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p.ruggeri www.megalithic.it norba retro porta maggiore

Norba: la sezione della struttura torriforme dell’entrata si offre chiaramente a causa dell’abbandono della città, l’insieme della muraglia difensiva  di dimensioni enormi i massi esterni più levigati sono megalitici e nascondono dietro di loro altri massi di eguale dimensione, poi il muro al suo interno  fatto, via via, di massi più piccoli di riempimento privi di alcun legante o malta;

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per intenderci la profondità del muro è ad occhio almeno di 6 metri di media , calcolando l’aumento dello spessore causato dai lati del recinto, quando si incontrano formando angoli retti o curve, si arriva a immaginare che in prossimità delle porte di accesso l’opera muraria avrebbe avuto la spessore pari a quello di una piramide della valle dei faraoni egiziani.

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Passare dentro la posterula detta porta minore di Alatri, meglio conosciuta come porta dei falli, restituisce infatti l’impressione di entrare nella spessa roccia, rendendo il percorso carico di atmosfera, come la porta minore di Norba, o sotto la porta di Arpino o magari la porta pentagonale di Ferentino, il traversamento rappresenta il massimo punto di arrivo del progettista del recinto, perchè il progetto lungo il disegno, realizzato con i megaliti, raggiunge la sua perfezione e resistenza proprio negli accessi urbani.

Restando in tema di torri e torrioni con entrate, eccoci a Ferentino, città che possiede una particolarità in più rispetto ad altre cittadine, in quanto, si rinviene la sua serie di curve davvero incredibili.

La sua particolarità dimostra la capacità di avanzare un corpo del recinto quasi a formare una torre agli angoli delle mura.

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Nello specifico resta un altro riscontro da fare, la somiglianza tra Ferentino e Norba per la presenza di una porta proprio poco prima della curva e naturalmente lo spessore, eccezione architettonica sul quale a Ferentino, prima i romani, poi le genti autoctone hanno eretto palazzi e abitazioni.

Correndo lungo il lato del muro che parte dalla sinistra della discesa di Via consolare si raggiunge l’altra singolarità la curva del recinto in prossimità di porta sanguinaria, un altra curva ben fatta che segna quasi un angolo retto del recinto, quindi un altro punto in cui la struttura si addensa, i massi si incastonano fra loro per un profondità che sa di incredibile,… in questo caso va ricordato che dietro i massi non sempre da semplici curiosi si ha la possibilità di vedere e che pochi sono i disegni dei progettisti da esaminare, ma a quanto sembra esistono dei nuovi metodi di ricerca con scanner in sperimentazione proprio nella più famosa valle egizia delle tre grandi piramidi.

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Insomma passare la mano su queste strutture nei punti in cui la densità dei massi incastrati è eccezionale deve darci la stessa idea che darebbe accarezzare una piramide dal vivo!

Il giro tra le idee ed i luoghi delle origini del nostro Lazio, a due passi da casa, deve guidarci verso lo studio delle geometrie e delle soluzioni dei nostri antichi avi, i loro sistemi non erano certo basati su colate di cemento ma opere di ingegneria che oggi definiamo estrema, la loro sostenibilità e lo studio dei materiali sono frutto di impegno e chiara tecnica elevata ma dimenticata nei millenni, per conoscere a fondo la costruzione delle mura poligonali megalitiche l’indagine non può non farsi più larga possibile , ancora lontanissima dalla nostra,…. quanto dovremo ancora imparare dipende solo da ognuno di noi.

mappa sito archeologico norba

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Droni: l’evoluzione della ricognizione aerea nell’indagine archeologica

La��archeologia, oggi, si avvale di diversi strumenti tecnologicamente avanzati. Tra questi il DRONE o a�?APRa�? (Aeromobile a Pilotaggio Remoto), un velivolo privo di pilota, comandato a distanza, che sta rivoluzionando la��indagine archeologica. Utilizzato generalmente per le operazioni di ricognizione e sorveglianza militare, oggi il suo impiego interessa molteplici ambiti applicativi, quali: agricoltura, salvaguardia dell’ambiente, operazioni di forze dell’ordine e protezione civile, beni culturali, cinema e altro ancora.

Esempio di drone. (immagine presa da atsenterprise.com)
Esempio di drone.
(immagine presa da atsenterprise.com)

Nel campo da��interesse storico e archeologico, il drone, puA? essere adoperato secondo diverse modalitA�, in base alle esigenze e finalitA� di studio.

A? stato impiegato per mappare remoti siti funerari della cultura Moche, in PerA?, per ricostruire immagini tridimensionali delle rovine Gallo-Romane sepolte sotto le autostrade svizzere, per monitorare alcune aree archeologiche, in Giordania, oggetto di ripetute attivitA� di spoliazione e, ancora, per individuare un quasi inaccessibile sito di arte rupestre nel sud-ovest americano; ma questi sono solamente alcuni esempi.

Il drone A? uno strumento che interessa maggiormente la ricognizione aerea, fase fondamentale del lavoro sul campo della��archeologo, che permette di ottenere una quantitA� di informazioni utili, sul sito archeologico da��interesse, con la��impiego di tecniche di prospezioneA�non invasive. Mentre in precedenza, la ricognizione aerea, era prevalentemente utilizzata per scoprire ed individuare i siti archeologici, successivamente scavati, oggi A? una pratica di grande importanza per documentarli, interpretarli e per controllarne i cambiamenti avvenuti nel corso degli anni e il drone sta avendo in queste pratiche un posto da��eccellenza.

Ma torniamo indietro nel tempo, quasi agli albori del secolo scorso. Era il 1899 quando la��illustre archeologo Giacomo Boni, affiancato dal comandate della Brigata Specialisti del Genio Militare Maurizio Mario Moris, intuA� per primo la��utilitA� della fotografia aerea per la documentazione archeologica. Le prime foto vennero scattate, in occasione degli scavi del Foro Romano, da un pallone aerostatico.

Roma, Comizio, area centrale del Foro. Foto scattata da pallone aerostatico dalla Brigata Specialisti del Genio Militare (1899). (immagine presa da academia.edu/2063157)
Roma, Comizio, area centrale del Foro. Foto scattata da pallone aerostatico dalla Brigata Specialisti del Genio Militare (1899).
(Immagine presa da academia.edu/2063157)
Basilica di Massenzio, Roma. La sezione aerostatica del Genio Militare impegnata nella fase di decollo del pallone. Inizi del Novecento. (immagine presa da academia.edu/2063157)
Roma, Basilica di Massenzio. La sezione aerostatica del Genio Militare impegnata nella fase di decollo del pallone. Inizi del Novecento.
(Immagine presa da academia.edu/2063157)

Una��altra importante applicazione archeologica della tecnica fotografica aerea, sempre tramite pallone aerostatico, risale al 1911, quando vennero eseguite dalla��archeologo Dante Vaglieri le fotografie della cittA� di Ostia Antica.

Ostia antica (Vaglieri)
Ostia Antica, 1911. (Immagine presa da archeogr.unisi.it)

Negli stessi anni furono fotografate Pompei e il sito di Stonehenge in Inghilterra. Nel 1913 Sir Henry Wellcome eseguA� per mezzo di un aquilone fotografie zenitali (verticali) degli scavi da lui condotti in Sudan. E ancora, nel 1915 gli aviatori francesi fotografarono la cittA� di Troia, su suggerimento dello storico francese JA�rA?me Carcopino.

Gli archeologi si resero conto che la ricognizione aerea e di conseguenza la fotografia aerea avrebbe costituito, da lA� in avanti, una delle maggiori conquiste della��archeologia del XX secolo. Disporre di fotografie che permettevano di vedere dalla��alto il sito, oggetto di studio, nella sua totalitA� sarebbe stato certamente un elemento importante, da integrare alla ricognizione di superficie, utile nella scelta, nella definizione e nello studio della��area.

In Europa, le prime ricerche sistematiche furono ad opera del pioniere O.G.S. Crawford, che in collaborazione con il maggiore G.W.G. Allen della��aviazione militare inglese, diede il via, in Inghilterra, dal 1922 in avanti, ad un laborioso lavoro di ricognizione aerea, grazie al quale scoprA� un gran numero di insediamenti preistorici e protostorici. Raccolse, inoltre, importanti dati per ricostruire il quadro topografico della colonizzazione romana del suo paese.

In Siria, a partire dal 1925, un precursore come Padre Antoine Poidebard cominciA? a definire la situazione topografica degli insediamenti romani di Palmira, Chalcis, della��alto DjA�zirek e individuA? i porti di Tiro e Sidone. Pose inoltre le basi scientifiche della fotointerpretazione archeologica. Un lavoro parallelo venne svolto in Iran, qualche anno dopo, dalla��aviatore tedesco Erich Schmidt. Analogamente nel 1927 aeroplani militari fotografarono strutture su pali di quercia della fine della��EtA� del Bronzo, nelle acque del lago di NeuchA?tel, in Svizzera.

In America, la��archeologo Alfred Kidder volA?, nel 1929, insieme al pioniere della��aviazione Charles Lindberg, sopra le regioni centrali e orientali dello YuacatA?n, in Messico, scoprendo diversi nuovi siti.

In Italia A? nel 1938 che si possono avere le prime pratiche di fotointerpretazione. La��archeologo Giuseppe Lugli eseguA� una serie di ricerche di topografia antica, servendosi delle fotografie aeree scattate appositamente, delle cittA� di Anzio, del territorio di Ardea, Lavinio e Lanuvio, del tracciato della via Appia tra Gravina di Puglia e Taranto e della cittA� e del territorio di Crotone.

Durante il periodo bellico A? la��Italia il paese che offre i risultati piA? interessanti: il professore di etruscologia, Antonio Minto, pubblicA? uno studio sulla topografia di Populonia che costituA� uno dei primi esempi della��uso di materiale aerofotografico per la redazione di carte archeologiche. Il tenente John S. P. Bradford, usando aerofoto, riprese da lui stesso durante la guerra, identificA? numerosi abitati preistorici in Puglia, scoprA� ed individuA? un gran numero di tombe dei centri di Cerveteri e Tarquinia, mentre la��archeologo Ferdinando Castagnoli terminA? studi basilari sui resti della centuriazione, ricostruendo le divisioni agrarie di Luni, Lucca, Cosa, Cales, Alba Fucens, Nocera, Pompei, Nola, Alife, Aquino, Spello e i piani urbani dei principali centri antichi a pianta regolare; individuA?, inoltre, la Pyrgi etrusca. Egli, collaborA? con Giulio Schmiedt (responsabile della sezione di fotointerpretazione della��Istituto Geofisico Militare) alla realizzazione di schemi ricostruttivi della planimetria di molti centri greci della��Italia meridionale e della Sicilia. I due collaborarono anche al fondamentale studio su Norba, importante esempio metodologico di fotogrammetria finalizzata alla��uso archeologico.

Conseguenti sviluppi di queste pratiche si ebbero a partire dal termine della Seconda Guerra Mondiale, data laA�crescente disponibilitA� di materiale aerofotografico e grazie alle intuizioni e alle capacitA� di studiosi che portarono la��utilizzo della fotografia aerea, nella��indagine archeologica, ad un livello sempre piA? avanzato. Oramai, la��interesse era focalizzato, oltre che sulla��aspetto fotointerpretativo del documento fotografico, anche sulle modalitA� e tecniche della ripresa aerea e sulle rappresentazioni cartografiche del territorio, sia come cartografia di base (supporto indispensabile per la conoscenza e per la tutela)A�sia come fotogrammetria analizzata alla��uso archeologico.

Le fotografie aeree vennero successivamente raccolte in biblioteche specializzate, sia a livello regionale, sia in piA? grandi collezioni a livello nazionale. Ne A? un esempio la National Library of Air Photographs in Inghilterra che dispone di 0,75 milioni di stampe oblique specialistiche e di piA? di 3 milioni di fotografie di ricognizioni verticali che documentano un periodo che va dal 1940 al 1979. In Italia A? presente, dal 1958, l’Aerofototeca Nazionale, la struttura di raccolta e di studio del materiale aerofotografico relativo al territorio italiano,A�che ha acquisito nel corso degli anni un patrimonio di oltre 2 milioni di immagini, raccolto in diverse collezioni che vanno dalla fine della��Ottocento fino agli anni a��90 del Novecento.

Aquiloni, palloni aerostatici, velivoli con pilota, hanno dato il loro ampio contributo alla fotografia aerea archeologica. Adesso, sembra essere arrivato il tempo dei droni, strumenti che si stanno dimostrando, negli ultimi tempi, particolarmente utili per la ricognizione territoriale legata al rilievo, allo studio e alla tutela delle aree archeologiche.

“Negli ultimi 5-7 anni sono state sviluppate una serie di tecnologie che rendono i droni molto interessanti”, ha detto Austin Chad Hill, un archeologo ed esperto di questi velivoli alla University of Connecticut, che sta contribuendo alla ricerca della��archeologa Morag Kersel in Giordania, “si possono equipaggiare con magnetometri, barometri, GPS e tutti i tipi di telecamera. Possono fornire un’incredibile quantitA� di dati”. La��archeologo ha affermato che neanche la normale fotografia aerea A? altrettanto utile, poichA� il drone in volo riesce a catturare molti piA? dettagli portando, cosA�, notevoli vantaggi.

Austin Chad Hill alle prese con un drone. (Immagine presa da anthropology.uconn.edu)
Austin Chad Hill alle prese con un drone.
(Immagine presa da anthropology.uconn.edu)

Il costante crescendo del suo utilizzo, inoltre, sta incalzando lo sviluppo di software applicativi per la fotogrammetriaA�a livelli sempre piA? elevati per quanto riguarda risoluzione, precisione planimetrica e altimetrica.

Controllato da terra, questo velivolo, puA? registrare immagini ad alta risoluzione, sia in movimento sia stazionarie, trasmesse in tempo reale ad un visore o memorizzate. Una volta acquisite, le immagini vengono rettificate, interpretate e integrate con altri dati archeologici, per creare elaborazioni in 2D e 3D. A�Potendo scattare immagini geolocalizzate (Gps integrato) A? possibile avere una mappatura, della��area di studio, con una precisione centimetrica e modelli di rilievo tridimensionale, di cui si puA? disporre per una navigazione virtuale del sito archeologico, che offrono informazioni sulla distribuzione spaziale delle strutture e dei reperti della��area.

La funzione primaria di questo strumento A? di rendere realizzabili fotografie aeree a bassa quota, permettendo la��accesso aA�punti di vista non raggiungibili in altro modo e di realizzare in modo agevole fotografie zenitali, superando di gran lunga le possibilitA� offerte dalla��utilizzo dei metodi convenzionali, per quanto concerne prestazioni, costi e versatilitA� da��impiego.

La��archeologa Rita Paris, in collaborazione con la societA� ArcheoStudio, ha spiegato che A? stato possibile eseguire con il drone un rilievo sulle alte arcate della��acquedotto dei Quintili di Roma, per facilitarne i successivi lavori di restauro. a�?Senza di esso – ha affermato la Paris – non avremmo potuto eseguire un rilievo della sommitA� dell’acquedotto, se non montando dei ponteggi”, questo a conferma del fatto che l’utilizzo del drone riduce notevolmente sia i tempi che i costi di questo tipo di operazioni.

La crescita di questo strumento A? stata rapida, oltre che dal punto di vista tecnologico, dal punto di vista imprenditoriale. Negli ultimi due anni, si sono svolte iniziative, eventi e conferenze, in cui manager di aziende specializzate, sono intervenuti per presentare vari modelli di drone rivolti a tutti gli ambiti in cui, questo strumento, trova applicazione. Ed A? nella capitale italiana che si A? svolta, lo scorso anno, la prima edizione del a�?Roma Drone Expo&Showa�?, un vero e proprio luogo da��incontro e promozione, il primo grande evento in Italia dedicato agli Aeromobili a Pilotaggio Remoto, che ha visto questa��anno la seconda edizione.

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Roma Drone Expo&Show 2014 – Roma. stadio Berra. (Immagine presa da romadrone.it)

 

Da una parte alla��altra del pianeta, pare che gli archeologi si rivolgano alla moderna tecnologia del drone anche per difendere e monitorare siti in pericolo.

Luis Jaime Castillo, vice ministro della cultura del PerA? e docente di Archeologia presso la Pontificia UniversitA� Cattolica di Lima, dirige da anni le ricerche incentrate sulla civiltA� Moche (o Mochica) che fiorA�, nelle valli della zona settentrionale del PerA?, fra il 200 a.C. e il 1000 d.C. circa. Il dottor Castillo, negli ultimi anni, si A? avvalso della��impiego di droni per mappare, monitorare e salvaguardare gli antichi tesori del suo paese.

In molte zone del PerA?, la crescita costante della popolazione ha indotto le imprese di costruzioni, a edificare anche dove non si dovrebbe. Per far spazio a nuove abitazioni una di queste, ad esempio, A? stata capace di demolire una��antica piramide nei pressi di Lima. Per fronteggiare il problema, Castillo e il suo team, hanno attrezzato i droni con telecamere termiche, per individuare gli insediamenti sepolti sotto terra. Hanno creato le mappe del territorio per stabilire i confini di questi insediamenti entro cui proteggerli, iscrivendoli in pubblici registri, per prevenire la��evolversi di questa disastrosa situazione.

La loro, A? una corsa contro il tempo per proteggere il patrimonio archeologico del paese, che rischia di essere distrutto o sovrastato da costruzioni illegali.

Il PerA? ha circa 100.000 siti da��importanza archeologica, di questi, solo 2.500 circa sono stati mappati e solo 200 circa sono ufficialmente iscritti nei pubblici registri, questo a causa delle poche finanze e risorse umane disponibili. Ca��A?, indubbiamente, ancora molto da fare, ma sicuramente i droni stanno aiutando ad accelerare i lavori da��indagine, necessari, per preservare il patrimonio archeologico. Il dottor Castillo ha posto la��esempio di un gruppo di ricerca che ha trascorso due mesi, ad un costo di migliaia di dollari, per mappare l’area da��interesse utilizzando metodi convenzionali. Con un drone A? possibile ricoprire una superficie, simile, in meno di dieci minuti e caricate le fotografie negli appositi programmi per computer, si puA? avere una mappa il giorno seguente: “Con questa tecnologia, sono stato in grado di fare in pochi giorni quello che prima mi richiedeva anni”.

Nella Giordania meridionale, nel sito archeologico di Fifa, che ospita oltre 10.000 sepolture della��EtA� del Bronzo, ricche di vasellame, perle di corniola e bracciali di conchiglie, i droni servono a frenare il saccheggio dei siti storici da parte dei tombaroli, che continuano ad alimentare il mercato dei traffici di reperti antichi.

Morag Kersel, archeologa della DePaul University di Chicago, sarA� impegnata nei prossimi cinque anni a controllare questo genere di attivitA� lungo il Mar Morto, in Giordania.A�Attraverso le immagini dei droni sarA� possibile capire dove sono avvenuti i saccheggi, con quale frequenza e di conseguenza capire cosa A? andato perduto prima di poter iniziare a proteggere ciA? che resta.

L'archeologa Morag Kersel con il drone utilizzato per il monitoraggio dei siti archeologici in Giordania. (immagine presa da asorblog.org)
L’archeologa Morag Kersel con il drone utilizzato per il monitoraggio dei siti archeologici in Giordania.
(immagine presa da asorblog.org)

 

Torniamo in Italia e godiamoci le immagini presentate,A�a scopo promozionale, dalla Regione Lazio alla��Expo di Milano. Le riprese, fatte per mezzo di droni, ci mostrano molti dei tesori delle province del Lazio, una carrellata di luoghi incantevoli che lasciano senza fiato.

 

 

BIBLIOGRAFIA & FONTI

a�?Archeologia. Teoria a�� Metodi a�� Pratichea�? di Colin Renfrew e Paul Bahn, Zanichelli

a�?Manuale di fotografia aerea: uso archeologicoa�? di Fabio Piccarreta, L’Erma di Bretschneider

http://www.academia.edu/2063157/Fotografia_aerea_per_l_archeologia

http://www.atsenterprise.com/index.html

http://www.nationalgeographic.it/multimedia/2014/04/15/video/droni_l_archeologia_ha_uno_strumento_in_pi_per_combattere_il_saccheggio-2102000/1/

http://asorblog.org/2014/01/22/landscapes-of-the-dead/

http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2015/06/29/news/droni_mania-117132428/

http://www.nytimes.com/2014/08/14/arts/design/drones-are-used-to-patrol-endangered-archaeological-sites.html

http://www.iccd.beniculturali.it/index.php?it/98/aerofototeca-nazionale

http://www.romadrone.it/

http://www.academia.edu/1572209/Attivit%C3%A0_di_rilievo_fotogrammetrico_stereoscopico_nell_area_dell_anaktoron_di_Torre_di_Satriano_-_abstract_from_M.Osanna_V.Capozzoli_Lo_spazio_del_potere_II

ANTEQUERA, l’indio che dorme… circondato dai dolmen….

ANDALUSIA: Antequera, la montagna dell’Indio che dorme e i dolmen a tholos….(di I.Fontana-P.Ruggeri)indio anteguera2

A pochi chilometri da Antequera, , una tra le cittadine storiche più belle della Andalusia, a 878 metri sul livello del mare, si trova il Monte dell’Indio, conosciuto anche come Pena de los Enamorados (o Roccia degli innamorati).

foto indios anteguera El Indio de Antequera: così viene chiamato probabilmente per la sua morfologia che lo fa assomigliare ad una testa adagiata sulla terra di profilo con le tipiche forme di un indiano d’america. La leggenda narra che due innamorati (e principessa moresca lei, cristiano lui) per sfuggire alla cattura da parte dei soldati inviati dal padre di lei arrivarono in questi luoghi e per evitare di separarsi salirono sulla cima di questo erto rilievo da cui si sono gettati nel vuoto insieme, per rimanere uniti per l’eternità. L’atmosfera che si respira è indescrivibile: sembra quasi di disturbare con la propria presenza.

indio vicinissimoA tratti si notano addirittura le labbra, dopo un profilo perfetto. C’è magia in questo posto, c’è mistero, e il panorama da gran canion si stagliano nella memoria dei viandanti. E’ l’Indio de Antequera, in un sonno eterno e profondo che ci segue per tanti km e ci fa sentire al sicuro.

dolmen anteguera.jpg2 Proprio nella vallata che corre dalla città andalusa al massiccio leggendario sono stati trovati e sistemati recentemente ben tre reperti megalitici, dei dolmen che si differenziano tra loro pur rimanendo legati dalla struttura di tipo a tholos (o thoulus), oggi sono visitabili grazie all’edificazione di un complesso turistico archeologico universitario

(http://www.museosdeandalucia.es/culturaydeporte/museos/CADA/index.jsp?redirect=S2_3.jsp),

dolmen anteguera vicino.jpg2 i magnifici esempi di architettura preistorica costeggiano la carretera che corre da Cadiz verso Granada nella Sierra dell’andalucia.

Gli architetti megalitici avevano la capacità di realizzare complessi monumenti con i riferimenti astrali dei solstizi come in questo caso è stato accertato l’allineamento dell’ingresso dei dolmen con i raggi solari che attraversano ogni anno durante il solstizio di inverno i corridoi dell’entrata, tali orientamenti astrali narrano il significato dell’equilibrio tra le forze della terra ne suo sistema astronomico il sole attraversa questi monumenti come la luce rende fertili le terre concedendo i suoi frutti agli uomini che sanno fare tesoro della conoscenza..

Con la mente, inevitabile andare dalla nostra Circe, nel pieno del Circeo: diversa la sua storia……., uguale la magia che incanta occhi e anima

IL PONTE MEGALITICO DI FERENTINO

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Ferentino, Ponte Sereno, dopo aver notato il ponte romano datato 260 dc, dalla strada provinciale che lo lambisce, ho trovato il modo di passare sulla strada che attraversa perpendicolarmente gli archi romani proprio alla loro base.054

La sorpresa A? stata grande in quanto proprio alla base del ponte romano esiste un basamento di massi megalitici in opera poligonali degni di questo nome.043

La struttura sprofonda nella terra e si erge compatta e perfetta nonostante ogni masso sia caratterizzato da molteplici figure poligonali irregolari.051

L’importanza di questa opera sta tutta nella sua funzione, un enigma che spero prima o poi qualche studioso si degnerA� di risolvere, in effetti tutte le descrizioni del manufatto si risolvono nell’attribuzione ai romani della parte superiore tralasciando alcune osservazioni sul basamento del ponte.047

Il ponte ha una funzione stradale di collegamento sull’arteria che da millenni A�collega le alture di Canterno e la zona di Fumone-Alatri, mentre al di sotto un altrettanto antica arteria collega la zona in pianura tra Tecchiena e Veroli.046

La sua principale particolaritA� A? che questo tipo di manufatto poligonali A? completamente diverso nella sua funzione rispetto a tutti gli altri dei paraggi, infatti non A? assolutamente collegato alla cinta muraria di alcuna cittadina, esso nonostante Ferentino disti qualche centinaio di metri non ne A? affatto collegato direttamente042

Stiamo parlando di un manufatto eccezionale sul quale non si rintracciano notizie oltre aA�quelle che riguardano A�il suo utilizzo in epoca romana, fin dal 260 d.c. ossia da quando ebbe funzione di strada.056

MaA�possiamo essere sicuri che fosse proprio quello l’utilizzo che se ne faceva precedentemente?

Per essere precisi, in effetti, nella nostra amata terra ciociara non rare sono le mura poligonali distaccate da centri civici ancora identificabili, esistono infatti diversi terrazzamenti megalitici anch’essi oscuri perchA� innalzati suA�colline senza alcun collegamento ad agglomerati urbani di alcun tipo, in quel caso (vedi mura di Falvaterra e in generale mura isolate sui monti ernici o sui monti a confine con il molise)A�si A? ricorrentemente parlato di luoghi sacri, o avamposti difensivi.

http://www.paesionline.it/lazio/falvaterra/foto_dettaglio.asp?filename=66526_mura_poligonali_falvaterra
http://www.paesionline.it/lazio/falvaterra/foto_dettaglio.asp?filename=66526_mura_poligonali_falvaterra

Nel caso del basamento poligonaleA�del ponte SerenoA�esso non serviva a compattarsi con altri muri nella realizzazione di recinti di difesa e delimitazioni di citta-stato, esso non formava dimora o abitazione per guarnigioni o regnanti, ed allora a cosa servA�?

Nell’oscuritA� di tali argomenti l’archeologia deve esaminare i resti e gli oggetti di cui si parla ci raccontano la solita supremazia architettonica dei costruttori di mura, gli stessi che in altre parti del mondo per portare acqua riuscivano a costruire impianti di scesa idrici incredibili come a machu picchu o l’emissario di Albano per restare piA? vicini, un opera riutilizzata dai romani che ancora oggi A? poco conosciuta dai locali ma di fama mondiale.emissario di albano

Insomma alla fine chissA� per quale motivo la mente A? accorsa a chissA� quale diavoleria antichissima fino adA�ipotizzare…magariA�un collegamento necessario al rifornimento dell’acqua, dalla zona di canterno, alla cittA� di Ferentino?.

http://www.romasotterranea.it/emissariodellagodinemi.html
http://www.romasotterranea.it/emissariodellagodinemi.html

La rete idrica della ciociaria era inserita negli impianti che garantivano finanche a Roma la vita,….. mi A? capitato di parlare con anziani operai degli acquedotti della zona frusinate i quali mi garantivano che in molte zone gli impianti attuali si servono delle stesse tracce lasciate millenni prima da chissA� quale civiltA� ab origine,…naturalmente del tutto impossibile un riscontro,A�mappare una rete cancellata dai secoli dalle guerre e l’abbandono——.

http://www.artvalue.com/default.aspx?ID=23&ARTISTE_ID=60688&MAISONS_VENTE=644&C_C_22=O&lang=ENG&NB_COL=0&PRICEDEV=1&ORDRE=5&cp_checked=
http://www.artvalue.com/default.aspx?ID=23&ARTISTE_ID=60688&MAISONS_VENTE=644&C_C_22=O&lang=ENG&NB_COL=0&PRICEDEV=1&ORDRE=5&cp_checked=

Ne riparleremo intanto eccovi alcune immagini buona scoperta!

https://speleology.wordpress.com/tag/emissario-albano/
https://speleology.wordpress.com/tag/emissario-albano/

 

“Il bel promontorio”

Il Circeo, un bel promontorio come tanti altri, si potrebbe pensare, che si protende su di un A�mare dalle acque cerulee, con una rigogliosa flora ed incantevoli scorci panoramici. La classica meta estiva ambita dai turisti di ogni dove.

Ma ca��A? qualcosa di piA? in questo luogo, qualcosa che lo rende speciale: A? la��atmosfera che si respira, quasi magica, osservandolo da lontano o addentrandosi nei suoi sentieri.

La stessa atmosfera che ha ispirato gli animi di poeti, scrittori e viaggiatori di ogni tempo, durante la sua esistenza millenaria.

In attesa della��uscita di un articolo sul Circeo, raccontato dalla penna audace, della��autore Evelino Leonardi, ci lasciamo trasportare dalle parole di personaggi piA? o meno vicini tra loro nel tempo, che sono stati capaci di descrivere, in maniera emblematica, questo promontorio ricco di fascino, in cui, storia, mito e leggenda si intrecciano, da sempre, in maniera indissolubile.

"Latium nunc Campagna di Roma" - 1595 - Gerhard Mercator (o Mercatore)
“Latium nunc Campagna di Roma” – 1595 – Gerhard Mercator (o Mercatore)

Un luogo, da qualcuno definito “l’olimpo da��Italiaa�? e da qualcun altroA�a�?il Machu Picchu del Tirrenoa�?, capace di destare meraviglia come pochi altri sanno fare a��

a�� lo sa bene il professor Tommaso Lanzuisi, nativo del posto, che ci da una descrizione mirabile di come appare questo lembo di terra, visto dalle zone ad esso prospicienti:

Il Circeo visto dalla spiaggia di Latina
Il Circeo visto dalla spiaggia di Latina

a�?Il Circeo A? come un baluardo sul mar Tirreno e domina uno dei paesaggi piA? vasti e piA? incantevoli da��Italia. Da Anzio o dai colli Albani, esso appare sulla��orizzonte come una gigantesca figura di uomo dormiente, la testa a ovest (vetta di Circe) e il corpo allungato verso est. La visone si fa piA? netta man mano che avanziamo nella pianura. Sembra veramente la��Atlante-Posidone, che Evelino Leonardi credette di aver scoperto nel profilo del monte. Altro A? la��aspetto da oriente. Da Gaeta, Sperlonga, Terracina, il Circeo A? la��isola Eea che gli antichi navigatori videro emergere dalle acque, sulla quale dominava la Maga trasmutatrice di uomini. Dal mare e dalla scogliera del versante meridionale la vetta di Circe somiglia a un uccello da preda con le ali semiaperte, quasi in atto di spiccare il volo: A? il Picco della Sparviera di V. BA�rard. E altra A? la visione dai monti della��interno. Dalla Rotonaria, negli Antiappennini, a quasi duemila metri di altezza, il Promontorio spicca laggiA?, tra i vapori azzurrini del mare, attraverso la valle della��Amaseno; ed A? la��invito, il richiamo del mare e della pianura ai pastori dei montia�? a��

a�� lo sapeva bene il viaggiatore e scrittore romantico Ferdinand Gregorovius, giunto in Italia (meta privilegiata del famoso a�?gran toura�?) nel 1852, che partendo da Terracina descrisse il suo viaggio verso quella che era la��antica isola Eea:

Il Circeo visto dal Tempio di Giove Anxur
Il Circeo visto dal Tempio di Giove Anxur

a�?Da Terracina , dove passai la Pasqua, volli andare sul Capo del Circeo, anche solo per una fuggevole visita. Dista tre ore da questa cittA�, sebbene la limpidezza della��aria lasci credere che sia piA? vicina. La stupenda forma del promontorio sembra essere sospesa sulla lunga duna come su di un nastro e lascia dappertutto libero un orlo di spiaggia, A�sul quale si puA? camminare come sopra un tappeto di velluto …

… salii sulla barca per raggiungere il Circeo … Erano le quattro del mattino quando salpammo. La luna brillava nel cielo verso est e spandeva ancora, lottando con il grigio della notte, un esteso chiarore dorato sul mare lievemente mosso A�… il Capo Circeo era ancora avvolto da un velo, dal quale fuoriusciva solo la��alta sua vetta.

Solo chi ha viaggiato sul mare, tra il calar della luna e il nascere del sole, puA? dire di aver visto il a�?mattino divinoa�?, questo consapevole divenire di un nuovo giorno della vita. Il respiro del mare che sale dalla��infinito ondeggiante elemento, ha in se il fremito primordiale della creazione. PerchA� il mare risveglia in noi, anche solo nel guardarlo in lontananza, o solo ascoltando la��infrangersi delle onde con il loro ritmico pulsare sulla spiaggia, un cosA� profondo struggimento, che neanche il piA? elevato paesaggio alpino sa suscitare? Forse perchA� questo piccolo nostro a�?ioa�?, le sue piccole necessitA�, la coscienza della natura, destata per un attimo, si trovano in immediato contatto con la��infinito e la��eterno, con ciA? che non ha storia e tempo, non ha confine e forma …

… sempre piA? chiaramente si delineava lo scuro promontorio, il suo bianco paese e la grigia torre ai suoi piedi, sul mare …

Da tempi antichi fu indicato in questo bel promontorio il luogo delle favole di Circe, dato che con la sua forma quasi insulare e i suoi fitti boschi, i suoi odorosi declivi, le sue grotte di stalattiti sul mare, dava la��idea di essere un ambiente adatto a far nascere una favola magica di antichi navigatori.

Il monte Circeo nei tempi preistorici era evidentemente una��isola, come oggi le vicine isole di Ponza, e come un tempo lo era anche il monte Soratte. Certamente molto prima dei tempi della��Odissea, gradatamente questa isola si unA� alla terra e divenne un Capo. Gli antichi geografi riportano che su di essa si trovava una cittA� con il tempio di Circe e con un altare a Minerva, dova��era conservata la coppa di Circe in cui Ulisse aveva bevuto …

… il sole si A? alzato dietro le montagne di Gaeta e la luna A? scomparsa. Il Capo si trova ora illuminato davanti a noi. Il sole del mattino illumina con una luce quasi sobria tanto che quella��alone magico sembra sparire …

Come appare piena di magia la vista del Capo Circeo quando lo si osserva da Astura, dalle montagne latine o dei Volsci o anche da Terracina stessa!

Ora che lo vedevo davanti a me, dai colori grigi e verdi, la montagna somigliava a molte altre; la forma insulare che assumeva in lontananza scompariva, e lo vedevo scendere verso la palude pontina con una larga striscia di terra. Le belle forme sparivano; il Capo era coperto da fitti boschi fino alla cima, mentre visto da lontano sembrava essere formato da nude pareti rocciose, che brillavano di riflessi di luce …

a�� camminai ai piedi del Capo, la cui intera forma avevo davanti ai miei occhi. Ea�� una possente piramide la cui alta punta, alla sua estremitA�, A? indirizzata verso ovest. Quasi fino alla cima, la montagna A? coperta da querce e cespugli tra i quali, talvolta spuntano acute rocce rossastre … Nelle spaccature delle rocce crescono palme nane; da li vengono prelevate dai giardinieri di Roma. Molte palme che adornano il Pincio sono cresciute sul Capo Circeo …

… Se in questo promontorio si A? in cerca di un posto ove potrebbe essere stata collocata la valle e il palazzo della melodica dea Circe, A? inevitabile pensare alla piattaforma di San Felice stesso, oppure a questo declivio. Qui infatti troviamo, anche se non vere e proprie valli, dei larghi fianchi montuosi, dova��A? possibile collocare il castello incantato di Omero. Cresce una flora rigogliosa: forse vi cresce anche la salutare erba Moly, che Mercurio diede al paziente Ulisse: a�?Nera era la radice e bianco come il latte il fiorea�? …

La fantasia popolare non ha del resto individuato un posto per la dimora di Circe e la leggenda A? rimasta qui piA? per il nome della maga Circe che per la favola stessa: essa non A? che artistica ed archeologica. Qui si pensa alla maga Circe come a una Loreley, che attirasse e facesse arenare le navi. Mi hanno raccontato che era stata infine sfidata da una nave straniera tutta di cristallo, sulla quale la maga non aveva potuto esercitare potere alcuno e che anzi era stata presa, rinchiusa nella nave e portata via. Da allora le sue tracce sono scomparse. Mi persuasi che la potenza immaginativa di questo buon popolo lavoratore non sia andata oltre nella incantevole leggenda della maga Circe.

E forse il mio Cicerone si divertA� nel raccontarmi che al tempo in cui abitava a San Felice una mattina ad una sentinella di guardia della torre del Fico apparve un cane dagli occhi di fuoco, che aveva tracciato attorno a lui dei cerchi magici.a�?A�…

Il Picco di Circe
Il Picco di Circe

… lo sapeva bene anche Gabriele Da��annunzio che in due liriche della��Alcione esplicitA? il richiamo alla maga e al promontorio:

a�?Ma a te vanno i miei sospiri,

a te, ombra del Monte CircA?o

letifera come il veleno

e il carme dell’avida maga

che tenne l’insonne

piloto re d’Itaca Odisseo

nel letto dall’alte colonne.

Quivi ancor regna nel Monte

l’Iddia callida, figlia del Sole;

e spia dal palagio rupestro,

tra sue stellate pantere

e sue tazze attoscate di suchi.

Gemon prigioni i suoi drudi,

bestiame del suo piacere,

cui ella tocca la fronte

con verga e sussurra parolea�? …

"Circe offre la coppa ad Ulisse" - 1891 - John William Waterhouse
“Circe offre la coppa ad Ulisse” – 1891 – John William Waterhouse

… e immaginando di solcare le acque che lo circondano:

A�a�?Si naviga per acque

infide verso l’isola di Circe.

… Apri gli occhi! Ecco l’atrio della maga

tutto riscintillante di prodigi.

Larve di stelle adornano la reggia

della donna solare, vedi?, simili

a foglie macerate dagli autunni

che serban lor sottili nervature

con la tenuitA� dei bissi intesti

d’aria e di lume. Fili palpitanti

le congiungono, l’iride le cangia,

indicibile tremito le muove.

Circe incantA? le stelle eccelse, e l’ebbe,

e le votA? di lor sostanza ignA�ta;

e qui raduna le lor dolci larvea�?.

A�Sembra quasi di vederlo a�?il bel promontorioa�?; la sua immagine ci si palesa davanti leggendo le parole di questi scrittori e sembra quasi di percepire le sensazioni che ne scaturiscono.

Ma, come scrisse Giuseppe Capponi, nessuna descrizione eguaglia la visione diretta di questo luogo, nessuna penna puA? descriverne la vera bellezza e a�?i pennelli dei piA? celebri paesisti, le rime ed i versi dei piA? nobili poeti non ne sono che deboli immagini; supera essa i colori della��arte imitatrice.

Fra le giocondissime prospettive che presenta il Promontorio Circeo, la visuale poi della torre Vittoria si puA? chiamare il compendio della storia Circellese: le mura ciclopiche che da lungi si osservano ne porgono il principio, le rovine della CittA� esistenti nel morrone il mezzo, o apogeo, le merlate mura, non del tutto ricoperte da nascente edera, del distrutto Castello, ove presentemente sorge il Villaggio di S. Felice, la decadenza ed il fine. Non va��ha dubbio certamente su la��antica rinomanza di questo Promontorio, e gli occhi stessi ce ne rendono bastantemente informati, se per un istante volgiamo lo sguardo su i varj punti della magica prospettiva. Gli avanzi del tempio di Circe su la piA? alta vetta del Promontorio, le di cui falde smaltate sono da biancheggianti ruderi, o da verde manto di folto bosco le sue spalle; le vestigie di antico telegrafo sulla vetta della Cittadella Ciclopica, le orme di battaglie rimaste su le pareti di torre Vittoria, la torre del fico recentemente costrutta, la via che conduce al celebratissimo lago di Paola, i vaghi Casini sparsi qua e lA� sul pendio del monte, la vista di un sontuoso Cimitero, ed il piccolo fossato Riotorto, che sotto gli occhi ci divide il Circeo dal continente; tutto insomma ci fa sovvenire quanto mai sia accaduto in questo promontorio: tutto A? vinto da una semplice occhiataa�?.

Ed A? a�?questa idea cosA� toccante, che ci fa provare nella fantasia una specie di seduzione ed incantoa�?.

"Il Circeo visto da Terracina" - 1840 - Jorgen Sonne
“Il Circeo visto da Terracina” – 1840 – Jorgen Sonne

 

Bibliografia:

a�?Il Circeo nella legenda e nella storiaa�? di Tommaso Lanzuisi a�� Editrice Eea, Roma, 1973

a�?Itinerari Laziali (1854-1873)a�? di Ferdinand Gregorovius a�� Edizioni belvedere, Latina, 2007

a�?Il Promontorio Circeo illustrato con la storiaa�? di Giuseppe Capponi – (rist. anast. Velletri, 1856)

IPOTESI DI DATAZIONE DELLE MURA MEGALITICHE IN OPERA POLIGONALE DALL’OSSERVAZIONE DI PYRGI ED ORBETELLO di Roberto Mortari

Nel suo sito web, a�?terradegliuomini.coma�?, il geologo Roberto Mortari, classe 1939, espone un confronto tra le mura megalitiche da��Italia e Grecia. Dopo una��attenta spiegazione sulle lunghezze dei lati dei blocchi poligonali presi in considerazione e le ampiezze degli angoli, estrae dai suoi studi geologici le variazioni del livello del mare, negli ultimi 10.000 anni, rapportandole alle sue ricerche sulle cinte murarie megalitiche dei siti di Pyrgi ed Orbetello. Emergono, cosA�, due date interessanti entro le quali questa tecnica costruttiva veniva applicata.

CINTA MURARIA DI PYRGI (immagine presa dal sito web terradegliuomini.com)
CINTA MURARIA DI PYRGI
(immagine presa dal sito web terradegliuomini.com)
CINTA MURARIA DI ORBETELLO (immagine presa dal sito web terradegliuomini.com)
CINTA MURARIA DI ORBETELLO
(immagine presa dal sito web terradegliuomini.com)

Di seguito un estratto:
a�?Se per il muro poligonale di Pyrgi A? stato necessario osservare i fori di litodomi per arrivare a conoscere la sua etA�, per l’analogo muro di Orbetello il discorso A? piA? semplice. Basta considerare che della sua altezza complessiva di 7 m (Pincherle, 1990) ben 4 sono sott’acqua. Il mare, dopo essere rimasto alla quota di -9 m tra l’8174 e il 5572 a.C., si A? stabilizzato a -4 m tra il 5499 e il 5351 a.C.. Anche su questo muro si possono osservare fori di litodomi, seppure con molta maggiore difficoltA� a causa della natura della roccia, molto alterabile in superficie perchA� costituita da un calcare dolomitico fittamente interessato da microfratture. Se, come si A? ipotizzato a Pyrgi, anche qui la costruzione del muro A? stata iniziata alla quota del mare, A? in quest’ultimo intervallo di tempo che deve essere collocata la data di costruzione del muro di Orbetello.
La data minima del 5351 a.C. pone un rilevante problema. Abbiamo sostenuto che l’opera poligonale A? uno dei prodotti dell’uomo che A? stato possibile grazie alla metallurgia del bronzo. Mentre la diffusione del bronzo in Europa viene fatta iniziare non prima del 3500 A� 3300 a.C., il caso di Orbetello ne fa retrodatare l’inizio di circa 2000 anni.a�?

Il link della��articolo (anche scaricabile in pdf):
http://www.terradegliuomini.com/confronto-tra-mura-poligonali-ditalia-e-grecia-2/

I PREDATORI A PARIGI (parte2)

(continua)……..

705Appena svegli, nella capitale francese ci precipitiamo a fare una bella colazione con croissant e succo d’arance, poi giù nella metropolitana alla volta di Saint Sulpice,  tappa fondamentale per vedere e toccare la Rose Line che fu qualche secolo fa il simbolo delle conoscenze e della misurazione della terra. La meridiana di Parigi del XVIII sec. d.C. ( ..ne esistono anche altre ad es. cattedrale di Acireale, etc.) infatti è segnata da un obelisco e una linea di ottone che scorre all’interno della chiesa suggestiva, ed è riccamente decorata con simboli di altri tempi sempre nel pieno del neoclassicismo pagano parigino, cosa che fa da contrasto proprio con gli ambienti ecclesiali in cui difficilmente possono passare inosservati.

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gnomone ad obelisco della meridiana di parigi

Le lapidi recitano la corretta interpretazione dell’opera astronomica realizzata, dalla lettura si evince che serve a segnare la corretta data per la pasqua riconducendo il progetto ad un esigenza liturgica, cosa ben lontana da quanto invece rappresenta per quanti amano la lettura dei romanzi di Dan Brown, il quale riconduce alla meridiana di Parigi, di questa chiesa, la line della rosa che unisce i 731luoghi sacri per i neotemplari e gli illuminati, fino agli iscritti della confraternita del priorato di Sion……, in quanto come meridiano unisce in se i luoghi chiave del culto divino (santo graal), come Gerusalemme e la cappella di Rosslyn, luoghi di grande misticismo da sempre.719

732

 

 

 

 

 

 

 

Bellissimi i particolari della chiesa come l’altare monumentale in cui la madonna con il bambino poggia sul globo terrestre schiacciando un serpente con il piede a simboleggiare la potenza divina e la vittoria della cristianità sul mondo e sul male.

730La chiesa nonostante abbia molti visitatori e sia il punto di riferimento dell’intero elegante quartiere parigino è trascurata e non gode di quell’attenzione manutentiva che dovrebbe avere, basti pensare che alcune delle splendide vetrate sono infrante e lasciano entrare i piccioni 706all’interno della chiesa.

567
un disco si trova proprio lungo la base della piramide di vetro del Louvre..
arago
disco di Arago

Non va dimenticato che è storicamente comprovato lo sforzo di riuscire a tracciare i meridiani esatti ai tempi (per gli astronomi), la scienza ormai si avvale di strumenti satellitari digitali, la linea attraverserebbe tutta la città ed è rintracciabile grazie ai dischi di Arago, 135 dischi posizionati da Jan_Dibbets recentemente.

lungo il meridiano esatto odierno.

707
sacro graal con iscrizioni….. da decifrare
709
il santo patrono di Parigi decollato

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le Vetrate descrivono i vescovi e i santi della tradizione parigina, ma ci sono due particolari riferimenti che non possono essere taciuti: una rappresenta il sacro graal ed un altra rappresenta il patrono di Parigi: Saint Denìs con la testa mozzata raccolta tra le proprie mani in posizione retta. Infatti la leggenda del martirio del santo aprigino racconta che dopo esser stato decapitato raccolse con le sue mani la testa e si incammino lungo la strada che oggi segna il quartiere omonimo.

Infine non sarebbe una chiesa degli illuminati se oltre ai riferimenti alla rose line, al sacro graal, non vi fosse posto per le mirabili opere d’arte pittorica realizzate dal mitico 741pittore della rivoluzione francese De La Croix, il quale trovandosi a dipingere figure bibliche destinate alla chiesa trovò lo spazio per inserire i suoi dettagli ispirati alla rivoluzione popolare francese eccovi il dettaglio delle pitture che si trovano nella prima cappella all’ingresso destro della chiesa.740

Scatti in sequenza che speriamo possano descrivere meglio quanto visto.

Insomma la chiesa “val bene una messa”, perché regala uno spaccato mistico in cui ???????????????????????????????affondarono le radici del neo classicismo francese, così come accettarono anche i personaggi dall’enclave dei clerici dell’epoca, dunque degno luogo in cui capire a fondo un periodo storico di un paese in fermento.

In poco più di mezz’ora il luogo è  stato visitato, ma non basterebbero 10 ore di studio per approfondire ogni tematica trattata e gli intrecci storico sociali che attraversano questa 682splendida chiesa.

 

I PREDATORI….. A PARIGI (p.1)

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PARIGI

Non potrei non presentarvi questa stupenda città senza aver detto prima che dopo aver letto e visto i monumenti e i simulacri eretti un po’ in tutta la bella mia penisola, un ciociaro non può certo che ridacchiare sotto i baffi, e non dimenticare che anche a Frosinone e in altre poche parti furono eretti monumenti alla “libertà” pagana o cristiana, l’arte dalla rivoluzione francese ha preso e dato molto, il neo classicismo pagano, in parigi trova la sua dimensione e scopre di se i presupposti dell’immortalità.

Parigi secondo alcuni scritttori contemporanei molto importanti, nacque attorno ad un primo nucleo proprio sulle rive della senna dedicato a Iside, e oggi sembra arrivare a coprire l’orizzonte della piana del fiume per chilometri.

La culla della cultura illuminata, priva del timore divino,568 le sue cattedrali, i suoi gargoile che vegliano sulla città, i suoi palazzi e le sue regge, i suoi musei e i suoi giardini, fino alla tour eiffel, sono la dimostrazione del uomo che dimostra di essere libero, libero dalla religione nella sua opera governativa.

Guardiamo il suo piano regolatore, napoleone regista e la corte alle macchine, vediamo dal vivo cosa si vede dall’alto,\ dalla cima della torre di ferro della “du pont”.10541011

Come tante altre capitali, la sua mappa nasconde uno strano e preciso disegno, secondo Robert Bauvall e Graham Hankoch, tra il percorso del fiume nel centro della città e la retta disegnata dalla via degli champ eliseè ci sarebbe un angolo di 15 gradi con obelischi e cupole a ricordare altre città capitali: Roma, Eliopoli la Valle di giza, Wahshington, Londra, e chissà quante altre ancora…

Dall’arco di trionfo fino al louvre, tetti grigi di piombo, e ferro battuto come se piovesse, gli odori delle cucine che si fanno sentire 1059lungo le rue del cuore parigino, prendiamo da place del repubblique e scendiamo per la “rue du templ”, che ci porta  a Notre Dame de paris, chissa quanti mercanti hanno già calcato quella strada che porta all’isola.

E poi, di Parigi oggi come si fa a tacer della sua bellazza notturno eccovi alcuni scatti….

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partiamo per Rue du Templ e da place de la repubblic dove ci sono state da poco le manifestazioni per Charlie Hebdo e raggiungiamo la bellissima cattedrale di Notre Dame de Paris….l’Hotel de la Ville,  …immersi nell’atmosfera d’altri tempi l’indomani partiremo alla volta dello gnomone di Saint Sulplice e della rose line ..(Continua)

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Segni una città…………. Megalitica !

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Domenica scorsa durante una passeggiata sui confini della ciociaria nord, proprio dove comincia a mutare la conformazione geologica del nostro territorio, all’incrocio magico tra la pianura della valle del sacco, la catena montuosa dei Lepini, e la zona vulcanica dei castelli poco a sud di roma, ultimo avamposto montuoso al centro del percorso millenario che contraddistingue ancora oggi il traffico tra roma ed il sud italia, abbiamo intrapreso la salita che da colleferro porta alla magnifica città megalitica di Segni.imagesYBV96PSR

Avevo letto e conosciuto la Città già dagli scritti di Giulio Magli, docente di archeo-astronomia del politecnico di milano, abile studioso e ricercatore della civilta megalitica del lazio meridionale, il quale tra le città contraddistinte dalle mura poligonali megalitiche riservava a Segni una attenta analisi paragonando l’impianto murario segnino ad altre grandi città come Alatri, Ferentino, Alba Fucens, Circei, etc., ma ugualmente, sono rimasto davvero impressionato dal reale impatto che la vista delle rovine nella città ha destato in me, che amo e cerco riferimenti geoarcheologici nel territorio dimenticati o poco valorizzati.

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La città risulta piena di fascino in quanto si eleva su un territorio che raggiunge i 700 metri di altezza ed è riconoscibile a distanza quale unico impianto urbano della zona innalzata tra i monti nel raggio di kilometri, e la sensazione di differenza con tutto ciò che la circonda è causato dalla sua posizione difficile da raggiungere che sicuramente ha aiutato a farla rimanere immutata in molti aspetti architettonici, tenendola al sicuro in tutta l’era moderna dalle vicende dell’umanità.

Appena giunti sulla strada cittadina disseminata di cartelli che indicano le tante attrazioni archeologiche e storiche, ci si ritrova in un percorso obbligato che le stesse amministrazioni hanno chiamato percorso turistico, andando a impattare con il primo anello di mura megalitiche che impone di fatto al viandante di costeggiarle salendo verso il nucleo antico del centro storico.

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Spettacolari massi calcarei poligonali ammassati con perfezione l’uno sull’altro sorreggono l’impianto ascendente delle abitazioni che da secoli contraddistinguono il profilo cittadino, le strade e i vicoli appaiono perfettamente come tanto tempo fa districarsi tra i diversi punti vitali dell’abitato, tra chiese minori e cattedrali medievali, si giunge nel versante panoramico che si affaccia sulla valle del sacco.

Lo sguardo dall’alto si perde sulla distesa verde e sulle catene montuose prospicenti, in cui a distanze più o meno regolari si distinguono tutte le città ciociare millenarie e i paesini rurali fino a Frosinone posta sull’ultimo spazio visibile a valle, se si volge lo sgurado a sud, mentre verso nord si distingue Roma e al suo lato la zona di T

ivoli.

porta foca

Insomma una terrazza che appare impagabile, sia per la bellezza sul basso paesaggio dominato, sia per il valore strategico che non si può assolutamente fraintendere, in quanto a qualsiasi ora del giorno, da quella posizione avvantaggiata, è possibile scorgere cosa succede nella valle da Roma a Frosinone , da Tivoli a tutti i monti che ci dividono dall’Abbruzzo.

 Quasi immediatamente si può immaginare la schiera di esseri umani che raggiunta la vetta nei lontani secoli della preistoria si organizzava a cingere il monte con le mura ( lunghe 5 km), rendendo da quei giorni la città eterna, segnando una cultura con i simboli di una somma di conoscenze che oggi ci sfugge, ma che insegna al viandante come l’uomo possa dominare sulla natura in modo ecologico ed eterno.

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La zona panoramica affaccia anche verso la catena dei lepini formando una gola impressionante per il salto di centinaia di metri ed è sovrastata da i monti che hanno sempre regalato selvaggina, funghi e legumi alla popolazione garantendo un lato protetto a nord ovest contro l’eventuale bramosia di popoli di passaggio nell’ Italia tirrenica.

La città è importante storicamente per aver raccolto dall’epoca romana tante personalità di spicco, finanche  del mondo religioso, e raccoglie ancora una biblioteca storica di grande importanza, ma oltre alla storia medievale racchiusa intorno alle chiese ed alla splendida cattedrale, il nostro report di viaggio punta decisamente agli aspetti preromani dei luoghi rimasti intatti, sull’impianto di muri poligonali che circondano tutta la cresta del monte intervallati da numerosi punti di accesso alla città, come la mirabile porta saracena o la famosa porta foca situate proprio sul versante affacciato a est sulla nostra valle, oltre alle tante posterule e fognoli.

Segni - La Porta Saracena

La porta saracena si apre in senso antiorario (non costringe a mostrare il fianco destro protetto dallo scudo-mentre al contrario porta foca era concepita per tenere sguarnita la difesa di chi osava entrare) appare incredibile sia per stazza sia per bellezza, un insieme di massi giganteschi formano un unicum mondiale per maestosità quale esempio architettonico-ingegneristico, degno di apparire accanto a Stonhenge, o alle piramidi della valle giza, il monumentale ingresso risulta intatto e come struttura indistruttibile sembra poter reggere anche contro un eventuale attacco nucleare, e non a caso richiamo l’idea di una catastrofe per avvalorare la resistenza insita nell’opera, in quanto dopo millenni nonostante guerre, bombardamenti e terremoti, mentre ogni altra architettura ha segnato il passo al trascorrere dei tempi, quella delle mura megalitiche non appare nemmeno scalfita.

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Il percorso dei muri è intatto e si nasconde sotto alcuni strati di terreno per poi riaffiorare in alcuni punti dove si può con certezza affermare che l’opera sia stata fatta per sottrarre alla montagna la terra, un po’ come a machu picchu, dove(secondo le ultime teorie) attraverso una serie di terrazzamenti megalitici e la realizzazione di terrapieni, si sottraeva alla montagna i luoghi rocciosi e aridi per realizzare orti e coltivazioni, la cinta è lunghissima e regolare tanto che attraverso il sistema di terrazzamenti ancora oggi è facile raggiungere l’acropoli attraverso  una gradevole salita.

L’acropoli dove oggi trova sede la chiesa di San Pietro è davvero eccezionale, un opera megalitica che fa trasalire il visitatore, la sensazione dell’eco delle vicende umane passate avvolge lo sguardo a 360 gradi e regala la certezza al passante di appartenere all’eternità del pianeta nel suo universo.

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Il tempo perde la sua finitezza e si accompagna alla descrizione della vicenda umana degli ultimi millenni, infatti sul vecchio basamento megalitico dell’acropoli sorge un templum romano  (dedicato a Giunone moneta) intatto e distinguibilissimo sormontato da un impianto cristiano, tipico edificio medievale con campanile annesso e bifore ancora più recenti, la pietra accompagna lo stallo dei colori dal bianco megalitico preistorico (calcareo), al marrone scuro della pietra squadrata romana (tufo) su su fino ai mattoni scuri di epoca medievale e il tetto moderno.

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Il luogo è da difendere da riscoprire, da mostrare al mondo e da tutelare come patrimonio dell’umanità.

Non esiste alcun altro luogo al mondo in cui si possa distinguere la diferenza e l’amalgamarsi degli stili e delle architetture della nostra civiltà mediterranea così ad occhio nudo, il megalitico, il romano, il medioevale ed il moderno, insieme dal basso fino al campanile che si staglia nel cielo.

Se non ci bastasse questo, proprio di fronte alla chiesa lato nord, esiste una cisterna romana per acqua piovana enorme che nonostante i secoli resta affiorante a simboleggiare la capacità di resistenza e di pianificazione urbana nell’approvviggionamento della materia vitale dell’acqua, come a dimostrare quanto si fosse attenti costruttori nei secoli addietro.

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particolare interno chiesa San Pietro

La porta foca che affaccia a sud è visibile, ma lungo il sentiero delle mura che la circondano il degrado sta lentamente prendendo il sopravvento, segno che le amministrazioni non riescono a tutelare e valorizzare la città, anche se lungo la camminata del lato sud est rimango felicemente colpito dagli scavi aperti, segno che l’interesse sulla zona rimane flebilmente desto, i palazzi medievali sono ricchi di reperti romani e nella città ha sede un museo archeologico.

Segni è una città unica e va studiata assieme alle città megalitiche come Ferentino, ed Alatri, e mentre si pensa a costruire nuovi stabilimenti industriali, nessuno ricorda la vocazione reale del territorio culturale e turistica, invece di puntare alla sostenibilità di cicli produttivi di indotti volti all’accoglienza dei turisti i giovani vengono invitati a lasciare i propri luoghi del cuore per recarsi a fare chissà cosa in industrie inquinanti, peggio ancora altri senza un futuro sono destinati ad espatriare.

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Ci battiamo affinche il patrimonio sotto stimato della nostra terra torni protagonista di un volano occupazionale basato sulla sostenibilità della tradizione e della cultura ma la strada è ancora lunga, per questo vi invito a parlare di questi temi al bar, alla fermata dell’autobus e nei comuni, nei palazzi del governo del territorio, locali e nazionali, facciamolo per noi facciamolo per il territorio.

Miti e Leggende del Liri: La Torre di Marìca (di Paola Baldassarra)

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 Anche se in molti dicono che la parola Liri, deriva dal latino ‘viridis’, che vuol dire ‘verde’, a me piace immaginare che le sue origini, si collegano alla mitologia greca, le mura pelagiche sono la testimonianza che antichi greci che si spostarono tanti anni fa fino in Italia, fondando molte colonie ed originando la loro volta nuovi insediamenti, forse cacciando le popolazioni indigene. Il nome Liri si intona con Illiri, nella mitologia greca, Illyrius era il figlio di Cadmo e Armonia che governò la regione di Illiria e divenne l’antenato etnonimo di tutte le popolazioni illiriche. Ancora, il nome Liri si avvicina a Lirìpe, che era una delle Naiadi, le ninfe delle acque dolci, viveva nella Focile, una zona della Grecia dove i primi abitanti si dice fossero i Pelasgi. Lirìope era molto bella ed il dio dei fiumi Cefiso se ne infatuò, quindi un giorno che la ninfa si era allontanata dalle sorelle, la circondò con i suoi corsi d’acqua e  così intrappolata  fu sedotta dal dio diede alla luce un bambino di eccezionale bellezza che chiamò Narciso.narciso Era un giovane bellissimo e corteggiato e di lui Eco, una delle  ninfe delle montagne, si innamorò perdutamente, un amore impossibile e talmente disperato che la bella ninfa per volere degli dei fu trasformata in roccia.

 

Grazie alle testimonianze archeologiche, si sa di una divinità italica, particolarmente legataal fiumeLiri ed adorata fino alla Foce del Garigliano, la dea Marìca, sposa di Fauno, divinità dei campi e della pastorizia e madre di Latino, ninfa protettrice dell’acqua e delle paludi, degli animali, dei neonati e della fecondità.DSCF6026

Ad essa è dedicata, presso Isola, una Torre circondata da alberi si erge sulla collina del paese, al centro di una radura incontaminata da dove si può contemplare il cielo, ammirare il panorama dell’intera vallata, seguire con lo sguardo il percorso del fiume Liri, spaziare la vista su Sora e i paesi limitrofi sovrastati dai maestosi monti Appennini.

Esistono molte leggende ma la più raccontata riguarda il bosco sacro sulla collina della Torre, tantissimi anni fa il bosco era un luogo considerato una vera oasi dove viveva ogni specie di animali in libertà, vi erano fiori tra i più belli e ricca vegetazione ed il fiume verde smeraldo era popolato da pesci e crostacei,da granchi e gamberi d’acqua dolce. Tutto ciò che esisteva in quel posto non poteva essere portato via, era assolutamente vietato tagliare gli alberi o cacciare selvaggina e chiunque osava violare il luogo sacro, veniva rintracciato dalla ninfa del fiume e punito severamente, si narra che ogni grande masso rimasto li da millenni è un profanatore del bosco trasformato in pietra.DSCF6029

Ogni anno, per rendere omaggio alla dea, durante la festa di fine estate, le ragazze del villaggio si recavano sulla collina portando cesti d’uva, ghirlande di fiori e cipolle intrecciate che sistemavano ai piedi della Torre, ma non potevano assolutamente riposare su quei massi e prima del tramonto dovevano tornare nelle loro case.

I luoghi più sacri si trovavano lungo il corso del fiume, erano le sorgenti e le piccole cascate, erano i massi di roccia, le grotte bagnate dall’acqua o le caverne non lontane dal fiume, l’accesso era riservato a pochi, chi era prescelto a volte doveva attraversare a nuoto il fiume ed entrare nelle grotte per depositare le offerte votive. Una leggenda racconta che la dea viveva nella Grotta della grande cascata, dove l’acqua scivolava impetuosamente dallependici rocciose, c’eraun passaggio non visibile ed inaccessibile, chi era nelle sue grazie riusciva ad accedervi, attraversando il fiume controcorrente, sfidando la forza dell’acqua, passando sotto la porta rocciosa ed entrando in un labirinto che racchiudeva corsi d’acqua e cunicoli e che arrivava fino al cuore della montagna in un lago sotterraneo. DSCF6045

Il mito di Marìca si estendeva lungo tutto il tratto del Liri, dovunque il fiume passava prima di tuffarsi nel mare, su entrambe le sponde del fiume, esisteva un bosco sacro circondato da un’estesa e profonda palude, la cosiddetta “palus maricae” e si racconta che era la sua dimora preferita tant’è che le fu dedicato un grande tempio costruito con blocchi di tufo grigio. La nostra Torre di Màrica,  è quel che resta di un mito antico e misterioso, della storia degli italici prima e dei romani poi, che veneravano il culto della ninfa del Liri in un piccolo paese della Ciociaria, tramandata in molte tradizioni o in alcuni riti che gli anziani del posto ancora ricordano.12

 

 

Non rura, quae Liris quieta Mordet aqua, taciturnus amnis (Orazio)