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Notizie random per predatori :D

cassino tutto in un monte

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La Città di Cassino è sicuramente conosciuta in tutto il mondo per almeno 2 motivi, il primo è rappresentato dalla battaglia di Montecassino, durante la seconda guerra mondiale infatti i combattimenti tra forza alleate e tedeschi si attestò proprio lungo la linea “Gustav”, tedesca, che era stata congegnata per sbarrare la strada alla risalita degli alleati lungo la penisola italiana, ed aveva tagliato in due l’italia, proprio attestandosi su Montecassino, promontorio posto all’incrocio delle vie di accesso a roma.

il secondo motivo è rappresentato dal fatto che sulla sommità del monte venne eretta la casa di San Benedetto, divenuta una delle abbazie più importanti d’europa è oggi il monumento storico più visitato del lazio dopo Roma.

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Molti non conoscono il motivo per cui il monte rimase importante nei millenni passati, esso come dicevamo infatti, era posto al centro del crocevia che si formava tra le antiche strade che percorrevano la valle latina e da lì, si districavano anche verso i monti appennini, quindi verso il molise, mentre dal lato opposto raggiungevano il mar tirreno.

google research gate by michela cigola

Casinum per i romani fu una città splendida dotata di un teatro e un anfiteatro, aveva una necropoli antica preesistente e una strada sacra che dalla valle portava i pellegrini verso l’acropoli sul monte dove oggi è incastonata l’abbazia, la città fu più volte posta al centro di diverse guerre proprio per la sua centralità, in quella città, si scontrarono i sanniti e i volsci, i romani e i sanniti, e vi passò anche Annibale durante la sua marcia verso roma nelle guerre sannitiche, sempre distrutta ebbe a rialzarsi ogni volta, Cassino rappresentava anche un punto di confine tra l’egemonia greca sulla penisola, anche dopo la conquista romana, vista la sua breve distanza da Capua, enclave greca in terra italica, e fu quindi anche ricca nei commerci con le diverse popolazioni che vi si presentavano.

Cassino quindi rappresenta un incrocio di storie e popoli italiani e internazionali da sempre, ma molto spesso non è conosciuta appieno.

Nel museo archeologico nazionale “G.Carrettoni” posto sul versante del monte affacciato sulla valle, si può entrare con un biglietto di basso costo e ammirare resti imponenti di un anfiteatro rimasto eretto nonostante i suoi millenni, la via latina composta con massi levigati dai solchi dei carri che sale verso il monte, una necropoli preromana e infine il bellissimo mausoleo di ummidia quadratilla spettacolare esempio di tumulo di tipo ellenico divenuto nel medio evo una piccola chiesa.

Proprio dalla via latina parte la via sacra pagana riconvertita poi dal cristianesimo, una strada antica ricca di suggestioni visto il suo percorso legato al luogo costeggiata da ulivi, fichi d’india e agave, la strada è disseminata di stazioni della via crucis, legate alle leggende dei miracoli di san Benedetto.

Ad alcune di queste stazioni restano bene in vista enormi massi con delle cosidette coppelle levigate, ad ognuna di esse la cristianità ha legato un miracolo, ma ad un occhio curioso esse sembrano dimostrare la sacralità del luogo già dall’epoca pagana, quando quei grandi massi lungo le strade principali segnavano un percorso, un altare agli dei, infatti proprio sulla sommità del monte, dove oggi riposa l’eremo di San Benedetto e l’intera abbazia, era eretta un acropoli preromana.

Nell’acropoli di casinum esistevano diversi templi sacri presso i quali gli antichi usavano conferire preghiere e voti, tali luoghi fungevano anche da riparo durante le battaglie e nei tempi di pace erano postazioni per vedette ed eremiti.

Nel video che si allega vi è la descrizione della zona meno conosciuta dell’abbazia che è ancora possibile visitare, nei locali sotterranei dell’abbazia furono rinvenuti diversi manufatti di diverse epoche, e l’abbazia ha un ottimo museo in cui è possibile ammirare reperti di duemila anni di storia, lo scrigno dell’abbazia nasconde al suo interno un architettura preromana fatta di mura poligonali megalitiche meravigliose ed imponenti, esse sostengono tutta la forma attuale dell’abbazia e si estendono anche fuori di essa con muraglioni e terrapieni ricchi di giardini dal bellissimo panorama.

Le mura sono come per Alatri, Ferentino, Norba, Veroli, Arpino, Circei, etc., in pietra calcarea e del peso di alcune tonnellate l’una, segno che prima della conquista dei romani le poleis della ciociaria erano formate da popoli ottimi per la costruzioni di cinte murarie in opera poligonale, segno che anche in questo caso sarebbe meglio approfondire ogni studio sull’argomento invece di relegarlo alla fondazione delle colonie romane che solo dopo occuparono tali luoghi sacri e foritficati.

nel video realizzato durante una visita guidata con alcuni attivisti locali, si vedono i grandi massi votivi sui quali la tradizione poi ha creato le leggende dei miracoli, che invece ai curiosi potranno suggerire il pellegrinaggio preistorico delle genti del luogo. Buona visione.

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malta il culto della dea madre

una delle celebri vedute di Malta con l’isola di Filfola sullo sfondo

Malta un isola incantata tra la sicilia e l’africa, un posto caldo dal clima insulare, sulla sua terra i segni del passaggio ancora ben visibile del neolitico e megalitico più mediterraneo che mai.

Ho avuto l’occasione di visitare l’isola in cui sorge l’imponente porto della Valletta per un intera estate e ho imparato a respirare l’aria dell’antico arcipelago maltese.

veduta dalla sommità della Valletta

La sua preistoria, la sua cultura e la sua tradizione medievale con le sue stupende roccaforti sono ben raccontate ai visitatori, anche attraverso i vari punti dedicati alla cultura neolitica e megalitica dell’isola, come musei, ipogei, grotte e tanti reperti a cielo aperto, essi prima ancora dell’epopea dei cavalieri e dei pellegrinaggi, ci parlano dei culti e delle usanze dei popoli più antichi del mediterraneo.

hagar kim

Popoli legati al culto delle stelle, conoscitori delle tecniche di costruzione ispirato agli allineamenti con le costellazioni, con i solstizi solari e le fasi lunari.

altare con bassorilievo di albero della vita

Templi monumentali, veri villaggi neolitici intatti nelle strutture che un tempo venivano chiamate dei giganti, come quelle ciclopiche dunque frutto della fatica dei giganti, di questi templi maltesi sicuramente ne va citato uno che più di tutti è stato oggetto di diversi studi con differenti tecniche di ricerca da quella più classica a quella più evoluta e tecnologica, l’Ipogeo di hal saflieni.

plastico dei templi ipogei di Hal Saflieni

Quello si vuole esaminare in questo momento è il rinvenimento della statuina della Dea Madre che mette un punto ad un intero universo di costatazioni e testimonianze archeologiche girano attorno alla complessa questione riguardante il culto legato alla Dea Madre di tutte le cose.

Negli ipogei, nei templi di hagar qim  e menaidra, vicini tra loro, tra le varie cose al visitatore è concesso di ricongiungersi ad una fotografia di uno spazio, a volte uno spazio aperto ed illimitato proiettato verso il cielo, a volte chiuso angusto e oscuro ma sempre improntato alle armonie ed alle architetture che si ispirano alle stelle.

A Malta si può godere uno scenario talmente surreale, paesaggisticamente parlando, che se pure in alcuni punti specifici dell’isola, essa fisicamente attraversa i secoli della storia inanimata, sembra possedere un significato o un anima, sottendere un ombra di intelligenza passata ma infinita nel tempo.

Vi si può cogliere la sacralità dei secoli in cui l’uomo guardava le stelle e le conosceva per tenerle presenti a mente a menadito come neanche oggi l’umanità sembra fare.

Indissolubilmente a queste geometrie delle costruzioni dei popoli neolitici appare una figura che in realtà è disegnata come nulla di più umanamente armonioso, dolce e buono, possa esistere, una madre, essa è una Dea dalla figura morbida e rassicurante, possiede la capacità di fare da guida a quanti si sentono persi e conduce l’uomo nella sua esistenza dalla vita, i rinvenimenti delle statuine votive infatti avvengono sia nei templi eretti sul suolo sia quelli posizionati sottoterra dove avvenivano le sepolture.

A Malta si trovano molte delle maggiori raffigurazioni di quella che fu detta la dea madre del mediterraneo, la stessa della sardegna, delle isole baleari in primis, il culto appartiene all’era più antica dei popoli mediterranei che si spostavano e si insediavano lungo le coste di europa e africa.

allineamenti astrali hagar qim

Essa in realtà veniva sicuramente adorata a Malta in un periodo che va dal 6000 a.c. al 3000 a.c., stessa epoca in cui sorgevano, secondo gli studiosi, i templi megalitici così caratteristici, monumenti sacri sulla terra maltese, oggi patrimonio dell’umanità.

la prima visita ai templi di malta  è stata una piacevolissima scoperta, andando verso sud, il lato della costa esposta all’africa, Malta presenta una serie di splendide scogliere a picco sul mare, un mare azzurro che sembra pitturato, a causa della presenza di alcuni coralli autoctoni che rendono la pietra a contatto con l’acqua quasi rossastra e attraverso la rifrazione dei raggi solari l’acqua sembra azzurra più del cielo.

Arrivati sulla spianata rocciosa coperta di fine sabbia e poca vegetazione,  leggermente scoscesa  che giunge al mare, si innalzano due tensostrutture giganti, che servono a coprire i luoghi sacri dei nostri progenitori mediterranei.

Il panorama diventa incredibile quando in prossimità del tempio si scorge il mare ed il secondo tempio più in basso, sembra di rivedere un film che narra la preistoria, e ci si immerge nei paesaggi che per l uomo servivano a realizzare il contatto tra cielo e terra acqua e fuoco.

il tempio di Hagar Qim come quello di Menaidra,, come quello gigantia su gozo sono composti da megaliti eretti verticalmente, lastre alte tra il metro e mezzo, fino a 6 metri, affiancati a disegnare locali con circonferenze concentriche irregolari.

Sono camere in cui il sole passa attraverso buchi e finestre ricavate dalle pietre dalle pareti megalitiche dei tepli, esse come delle camere oscure vivono e rendono al visitatore l’idea che il percorso del tempo sia legato all’universo allo spazio ed alle stelle.

Proviamo ad immaginare le stanze sacre durante i riti, gli altari posizionati proprio sotto i raggi solari si illuminano nel buio e risplendono della sacra luce del sole, stesso dicasi per altri punti di osservazione , come intere costellazioni o semplici isole nel mare.

Il gioco del nostro cielo diviene teatro della storia dell’uomo e dei suoi rituali sacri.

continua…

vasi (sanniti?) al museo di #montecassino

anfora di tipo Alfedena museo Abbazia Montecassino

Come mio solito, scrivo sul taccuino dei predatori della ciociaria perduta di quest incontro stupendo con le nostre antichità ed apro un piccolo pezzo di approfondimento su alcuni oggetti che ho ammirato presso il Museo dell’abbazia di Montecassino.

Proprio lì, è possible ammirare due reperti sistemati nell’ultima sala, alla fine dell ottimo allestimento museale, che in realtà è più rivolta  a mettere in luce la tradizione cristiana della casa di S.Benedetto a Cassino,  tra i resti di ceramica etrusca del V° e VI° sec. a.c., si trovano due splendidi reperti che hanno catturato la mia attenzione da appassionato delle antichità preromane.

Visto che nell’allestimento, ottimo nel complesso, purtroppo difettavano le didascalie ai piedi di questi ultimi due elementi eccezionali, sia per la bellezza antica, sia per le misure, che comunque li fanno diventare curiosi….proverò a capire che tipo di vasi potremmo avere sotto agli occhi, nelle loro splendide forme.

particolare dei motivi ornamentali a figure animali

Dopo alcuni approfondimenti sulla forma del primo reperto,  posso dirvi che viene di norma chiamata “anfora” di tipo Alfedena, in quanto il collo allungato è tipico di quei contenitori chiamati in genere anfore, sui lati del ventre motivi ornamentali con anelli ed anse, dove forse un tempo passavano aste o bastoni o corde, vengono sovrastati da due piccole figure di animali da allevamento tipo tori.

i vasi di tipo Alfedena nel museo di Atina

Una forma per nulla scontata o priva di caratteristiche artistiche di livello, bensì, il contrario, una testimonianza di una conoscenza dell’arte di modellare le ceramiche vagamente orientalizzante per alcuni, insomma un oggetto che può raccontare molto.

vasi tipo Alfedena nel museo di Atina di san biagio saracinisco

Il tipo Alfedena inoltre si contraddistingue nella scalanatura a rilievo e nel colore dell’impasto , un grigio bruno che quasi rende metalliche le forme, oltre che probabilmente nel materiale, impasto tipo bucchero, quello famoso degli etruschi, o molto simile, se fosse dunque quello il tipo ci troveremmo difronte a resti sanniti, più in generale del tipo appenninico, italico, ma dire questo non sembra del tutto appagare la nostra curiosità.

Infatti, cosa significa dire appenninico italico o sannitico?

in realtà si sa ben poco di questi nostri popoli progenitori, e più si tenta di approfondire attraverso la lettura degli scritti storici classici, più ci sembrerà di  saltare da una interpretazione all’altra di simili nomi di popoli e fatti differenti, soprattutto se si procede tentando di riavvicinare ogni tribù o popolo italico ad un unico ceppo la cosa diventa difficile.

Per questo preferisco partire dai reperti e tracciare le linee di evidenza che testimoniano.

lo splendido calice con i cavalieri e le donne fissate sul bordo presso Museo dell’Abbazia di Montecassino

Torniamo quindi alla nostra ricerca sui reperti sconosciuti, il secondo reperto è un trionfo di arte antica che desta, dopo migliaia di anni, ancora grandi emozioni, esso sembra un cratere votivo o un calice largo ed è dello stesso materiale (bucchero) dell’anfora, probabilmente di un unico corredo.

Il calice è bellissimo, lungo il bordo della circonferenza corrono cavalieri arcieri e donne che con le mani abbracciate sulla testa disegnano quasi una volta a tutto tondo.

La rappresentazione di una civiltà guerriera e nobile capace di guerreggiare con arco e frecce sopra ad un cavallo che corre, mentre le donne restano baluardo della genia guerriera affiancando le gesta dei cavalieri.

Probabilmente il corredo funebre di un membro della famiglia guerriera di cavalieri e forse anche nobili di una tribù, perché raramente tali corredi venivano posseduti e realizzati per la popolazione che non avesse una nobile collocazione sociale.

reperti della zona cassinate del VI sec.a.c.

I sanniti dunque non sembrano più così lontani dai loro vicini etruschi sia per capacità artistica sia per tecnica di materiali usati in queste fogge, che secondo diversi studiosi infatti sono strettamente connesse agli etruschi pur rimanendo uniche nella loro massima foggia artistica.

C’è da dire che dopo ulteriori indagini per le quali ho coinvolto qualche amico archeologo locale, siamo riusciti a pervenire alla provenienza della collezione, essa sembra definitivamente etrusca, anche a seguito di una scoperta che ho personalmente effettuato, anche presso il museo sabaudo della città di Firenze, secondo solo al museo di torino per la sua area dedicata ai reperti egizi.

Finalmente, infatti, dopo mesi, ho trovato un esempio di archetipo con il quale tracciare un rapporto dettagliato sulla tipologia del manufatto presente al museo dell’abbazia di Montecassino su cui poi vi diròmeglio.

Tra le varie bellissime ceramiche esposte, tutte etrusche e tutte databili tra il VI° sec., a.C., ed il VII° sec., A.C., nelle teche con infinita gioia ho trovato queste iscrizioni.

Le lingue infatti di origine osca furono simili tra loro cosi come quella dei volsci e dei sanniti fino a quella etrusca, sul discorso meglio approfondire in questo altro articolo che vi segnalo: https://www.megalithic.it/il-taccuino-dei-predatori/oscitosci-volci-e-volsci-per-alcuni-furono-la-stessa-popolazione/

Un lébes etrusco dello stesso periodo, che avevamo teorizzato, è identico nelle forme decorative funebri che corrono lungo il bordo del catino sacro, cavalieri e piangenti rendono onore al defunto.

Resta da spiegare quindi come mai il reperto di monte cassino sia realizzato con un impasto che appare più elaborato e nobile rispetto a questo esposto a firenze, come vi dicevo il reperto di Montecassino merita però un ulteriore approfondimento, in quanto esso deriva da un lascito offerto all’abbazia da un qualche vicario, una pratica vuole che si offrisse all’abbazia un qualche dono durante le visite ufficiali.

museo archeologico firenze

Quindi il vaso bruno meglio conservato sarebbe stato rimaneggiato nei secoli, magari abbellito tanto da render difficile la lettura, sembra infatti che il reperto presenti segni di congiunzione quasi di elaborazione successiva tanto da sembrare l’incrocio tra diverse teknè corrispondenti a troppe etnie di secoli differenti.

Cercherò di spiegare meglio per alimentare ancora la nostra curiosità nel confronto di questi enigmatici reperti.

continua….

P.Ruggeri

La città di Cosa/Ansedonia, le torri megalitiche quadrate e la tagliata.

La singolare storia della città di Cosa si intreccia su diverse vicende, di essa si legge che ebbe nome “cusi” nelle antichità, da una parola della lingua degli etruschi, della quale parleremo in altri articoli, apparteneva al territorio di Vulci, sulla costa a sud del tombolo di Feniglia nella zona che oggi prende il nome di Ansedonia.

La città antica di Cosa ? posta su una collina rigogliosa dalla quale si staglia un panorama a nord che comprende tutta la laguna di Orbetello, il triplo tombolo e l’argentario, una postazione di controllo unica…e importantissima.

particolare opera poligonale acropoli di Cosa p.ruggeri wwwmegalithic.it

Il controllo dell antico porto di Orbetello, era importantissimo la posizione dominante un vantaggio inestimabile, possiamo immaginare chissà quanti secoli e quanta storia con le sue bellissime mura a far da cornice, imponenti e ben rifinite, in un perimetro per niente scontato.

pianta di Cosa
i piccoli quadrati lungo il perimetro sono le torri

Il perimetro in opera poligonale, un lavoro eccezionale, conta 17 torri in opera poligonale, di profilo quadrato, ed una sola torre di tipo rotondo, costruita con piccole pietre, sicuramente successiva alla produzione della cinta in pietre megalitiche poligonali.

porta firorentina alla sinistra la torre quadrata in opera poligonale Cosa/Ansedonia

Il numero di torri rimaste in piedi, costituisce una particolarità dell’area archeologica, unico esempio di tale genere di architettura per quantità e stato di conservazione.

talayot santa margalida mallorca

Tra i pochi esempi che sovvengono citiamo tra gli altri i Talayot quadrati rinvenuti a Mallorca (isole baleari), esempi di costruzione poligonale ristretta, di perimetro quadrato, che solitamente non superano i 20 metri per lato, basi per torri, erette lungo i punti geografici di avvistamento,  come forse in realtà fù per Cosa, le stesse peculiarità e periodi, lo stesso popolo chiamato “delle torri”? Molti gli aspetti che ci fanno dubitare nonostante nessuno sembra averlo mai messo nero su bianco, primo tra tutti la costruzione di queste torri uniche nel loro genere.

Un’altra particolarità delle mura riguarda la successione degli angoli e degli stipiti che sono diversi da moltissime altre simili città, come ad esempio quelle laziali, infatti seguendo a piedi le mura si nota che in molti punti lungo il perimetro le pareti mutano direzione creando angoli ottusi di una precisione incredibile, leggeri scostamenti che non è facile rinvenire.

Nella zona di Aquino si trova un ulteriore esempio di torre di fortificazione quadrata segno che esisteva questo archetipo probabilmente strategico difensivo, utilizzato sia nel mediterraneo nelle baleari ad esempio, sia in Italia come nel caso di Aquinum e Cosa.

Aquinum Torre megalitica di pianta quadrata  P.Ruggeri www.megalithic.it

La torre quadrata, nel caso della città di Cosa, risulta costruita in aderenza al corpo del circuito difensivo, mentre nel caso del Talayot di Santa Catalina come ad Aquinum gli edifici sarebbero invece distaccati da altri corpi costruttivi, segno che l’edificio fosse presidio da tempi immemori già per i romani, la somiglianza all’opera squadrata romana è forte ma basta curarsi di controllare gli angoli dei massi pesanti per scoprire incastri a L, tipici delle costruzioni poligonali, naturalmente l’opera è in posa senza alcuna malta o legame di qualsiasi genere da migliaia di anni.

Stando alla datazione di riferimento potrebbero combaciare le stime del VI secolo avanti cristo per entrambi i casi, le misure (6,5 mt per lato per Aquino, mentre 11 mt circa per il talaiot di Santa Margalida ), questo parallelo corre su diverse altre caratteristiche simili in quanto a tipologie di edifici arcaici tipici nelle zone etrusche, centro italiche preromane, costiere lungo tutto il mediterraneo in Francia e Spagna, in Sardegna, ed alle isole Baleari.

Torniamo a parlare di Cosa, la città dalle torri quadrate megalitiche, proprio sotto la collina, dove il mare sbatte sulla roccia, scorre un taglio nella roccia, un canale idraulico che attraversa per obliquo lo scoglio che si sporge in mare, ed una sorta di antica cava, oggi è possibile vedere l’imbocco del canale idraulico da un ponticello che lo attraversa in alto a circa 20 metri del livello del mare, il punto di interesse culturale archeologico è davvero impressionante.

Ci troviamo alla cosiddetta Tagliata di Ansedonia, come potrete vedere dal video, e dalle info video esiste un taglio quasi cubico nella collina rocciosa, un pezzo di roccia dell’area sembrerebbe stata apportata, una specie di cava a prima vista, e in basso sul lato sinistro del cubo un canale stretto con volta a semicerchio grezzamente intagliato, in cui defluisce l’acqua del canale che dal vicino lago si getta in mare.

Come già spiegato negli articoli precedenti, il Pincherle ha ipotizzato che il canale della tagliata fosse stato realizzato in tempi antichi, molto prima dei romani ed anche prima degli etruschi, per dare impulso alla genesi del tombolo della Feniglia.

Canale di drenaggio del porto antico, secondo la ricostruzione accreditata, si apprezza dalle immagini la visione del meraviglioso sito.

Il luogo della collina di Ansedonia è un patrimonio del mondo, centro di interesse culturale da secoli, in esso scorre la storia delle antica civiltà mediterranee, intagliata sulle coste, nella roccia e nelle sue mura, praticamente di fattura identica a quelle di Orbetello, la loro storia è ben lungi dall’essere spiegata, pare infatti incredibile che mentre quelle di cosa fossero fatte dai romani, quelle di Orbetello sarebbero con certezza etrusche!!

Vi invitiamo alla visita dell’area archeologica e al porto antico, per assistere alla bellezza della quella cultura preromana troppo spesso accantonata dai canali retorici del racconto archeologico italiano.

Talaiotici: villaggio di Son Fornes Mallorca (Spain)

Il villaggio di Son Fornes, è uno dei più interessanti da visitare nella splendida isola di Mallorca, gli scavi dell’agosto 2017 e l’intervista al gruppo di archeologi che abbiamo incontrato, intenti nel valorizzare il sito.

All’interno dell’area archeologica, la naveta sacra e due Talaiot di forma a cono tronco, abitato anche durante la lunga permanenza dei romani è uno dei siti di maggior interesse dell’isola.

Di seguito il video reportage della nostra passeggiata archeologica, il luogo con recinti di grandi massi di tipo megalitico, sembra assomigliare molto all’architettura delle città preromane del lazio e del centro italia, la somiglianza con le mura poligonali è chiarissima.

Un dubbio continua a crescere nel visitatore, che tipo di civiltà ha creato questi edifici?, come nel caso dei nuraghe sardi, il filo della cultura mediterranea, Tirrenica sembra sia stato intrecciato alle civiltà cretesi, minoiche e orientali, ma oltre alle congetture, resta un architettura sacra, dedita agli elementi, che ancora non si riesce ad etichettare con certezza di specialità.

Di seguito il video della passeggiata archeologica che vi consigliamo tra un bagno ed un buon pasto mallorchino, buona visione

La formazione del triplo tombolo della laguna di Orbetello

distanza approssimativa tra Cosa e Orbetello

…come già spiegato la laguna di Orbetello resta al centro dello stupore dei visitatori e dei tanti curiosi, infatti la sua particolare forma desta diverse perplessità, agli attenti ricercatori della sua storia e della sua geomorfologia.

Abbiamo parlato della questione della mancanza di certezze nella datazione delle mura di Orbetello, ricordiamo che la Soprintendenza competente per territorio non ritiene le mura poligonali opera romana, mentre (insieme ad una moltitudine di ricercatori) illustra l’ipotesi costruttiva preromana che individua gli Etruschi come artefici.

Tale assunto archeologico riguardante l’appartenenza delle mura alla capacità costruttiva degli etruschi pone una “certezza accademica” che contrasta con la generale descrizione delle mura poligonali nelle città con mura ciclopiche disseminate nel centro italia e con tutti gli altri esempi di opera in mura poligonali studiate.

Un caso che pone diversi dubbi, come ad esempio, il contrasto con l’equivalente determinazione accademica della stessa soprintendenza, che vede attribuire ai romani la città di Cosa, che dista soli 7 km da Orbetello e che possiede mura di cinta poligonali completamente uguali, in questo caso appare ridicolo pensare che le due città non fossero coeve, magari frutto di un unico disegno strategico ingegneristico.

Il caso del triplo tombolo

Secondo gli studi e le ricerche di diversi autori, la geomorfologia della laguna fu il frutto di un opera artificiale, risultato di ingegno umano, capace di deviare le acque ed innalzare le terre dal mare.

Il tombolo di Orbetello nel sistema della laguna attuale corrisponde al primo lembo di terra che dalla penisola raggiungeva l’isola dell’argentario, la formazione naturale primigenia dell’odierno sistema delle acque.

rappresentazione di massima della formazione del tombolo

Come si nota dallo schema, tutte le teorie e gli studi sui tomboli dimostrano come il lembo di terra che si propaga in mare per raggiungere l’isola difronte alla costa, nel suo percorso di formazione tenda ad essere diretto al centro dell’isola proprio di fronte alla costa, tale percorso è il frutto delle correnti che incontrano l’ostacolo che si erge difronte alla costiera esistente.

Nel caso specifico di Orbetello il tombolo che collega la città alla terra ferma smise di crescere prima di giungere all’isola dell’argentario, mentre crebbero ai suoi lati in modo simmetrico tra loro i tomboli artificiali di levante e di ponente.

Il Pincherle, nel suo libro “il porto invisibile di orbetello” ipotizza che il tombolo della Feniglia, quello a sud di Orbetello, che parte da Ansedonia,  dove si erge l’antica città di Cosa, sarebbe stato creato appositamente scavando un canale nella roccia che dal lago di burano (ubicato ancora più a sud) capace di fare deviare le correnti e i sedimenti dal porto di Cosa appositamente per innalzare la barriera di sabbia e proteggere Orbetello.

Le tesi del Pincherle sulla formazione dei tomboli appaiono resistere anche alle attente analisi geomorfologiche compiute un po’ in tutto il mondo, come nel caso del geografo francese Edoard Grosseaumeil quale, come ricorda Carla Gallo Barbisio dell’Università di Torino nel volume trasformazioni e narrazioni, studia attentamente la morfologia dei luoghi della laguna e approda alla teoria che non esistesse in tutto il mondo un sistema di triplo tombolo come il suddetto.

Nel volume le “triple tombolo de Orbetello” lo studioso francese descrive la particolare forma della laguna, frutto di correnti venti e sedimenti “particolari”, spiega che la simmetria tra i tomboli curvi di ponente e di levante esclude la possibilità che fosse stata la natura da sola a realizzare un tale fenomeno geomorfologico, se ne desume che da una situazione ben precisa di partenza, sono poi intervenute le mani di sapienti ingegneri a dare la forma definitiva del luogo, rendendo ancor più verosimile la ricostruzione del Pincherle.

Le opere di ingegneria idraulica di questo tipo, atte a far defluire acqua e sedimenti per realizzare porti o garantire irrigazione sono presenti in molte zone italiane dove anche attraverso trafori nelle montagne interi corsi d’acqua finivano per rendere rigogliose le pianure altrimenti incolte.

Arci, entrata acquedotto
p.ruggeri www.megalithic.it

 

 

La conoscenza dei fondali delle correnti e dei venti furono la chiave ingegneristica che permise ad esempio ad Alessandro Magno di raggiungere fortezze isolane impossibili da attaccare, come nel caso di Tiro, dove sfruttò proprio un tombolo in formazione per stendere un ponte e raggiungere la fortezza.

http://www.repubblica.it/2007/05/sezioni/scienza_e_tecnologia/genio-alessandro-magno/genio-alessandro-magno/genio-alessandro-magno.html?refresh_ce

Tra le opere citate dal Magli, invece spicca l’ingegneria idraulica dell’emissario di Albano, di cui già i romani finirono per giovarsi, casi ancora dibattuti in quanto per la dottrina sarebbero romani ma lasciano dubbi ai quali si sceglie di non rispondere.

https://digitalis-dsp.uc.pt/bg6/UCBG-4A-17-1-13/UCBG-4A-17-1-13_item1/P36.html

Questi canali artificiali furono opere incredibili, in italia esse furono attribuite a popoli preromani come i volsci o gli etruschi, ma somigliano in maniera impressionante ad opere che si trovano nella mesopotamia, opere sulle quali ancora scriveremo molto.

Torneremo a parlare di questi luoghi insistendo sulla necessità di approfondire gli studi per darne una giusta collocazione, a tutti voi buona lettura

 

ORBETELLO mura poligonali etrusche …..?

orbetello

C’è qualcosa di magico che mi ha fatto pensare da subito ad alcune somiglianze tra i nomi delle città e dei toponimi in generale, restando a vivere nel lazio ogni volta che esco e vado in giro finisco con farmi delle domande…

Ricordo chiaramente la prima volta che mi trovai ad Orbetello, anni fa, mai avrei pensato che proprio li ci fossero nascosti una serie di indizi che mi avrebbero guidato nell’approfondimento che vi sto proponendo in questo piccolo articolo, sempre con la speranza di approfondire e soprattutto non dimenticare.

Giunto in serata, presso il parcheggio che confina con lo specchio di acqua della laguna di Orbetello, proprio sul punto in cui parte la strada che conduce al monte Argentario, esclamai un grido al mondo di felicità, appena mi trovai difronte alle mura poligonali megalitiche che affiorano dall’acqua della laguna quasi a delimitare gli antichi limiti-argini della cittadina toscana.

il cartello della soprintendenza ad Orbetello, le mura tratteggiate nella mappa

Ma poi subito incominciando la ricerca su questi temi mi trovai sempre più confuso…., innanzitutto proprio di fronte alle mura della laguna c’è un cartello della soprintendenza che avverte che ci si trova difronte a mura poligonali etrusche!!!

Non vi dico nemmeno  del turbine di pensieri che mi sovvenivano in quanto come in un film accelerato rivedevo le similitudini con le altre mura già studiate.

Quello che vi dirò, riguarda la catalogazione del complesso sistema di mura poligonali della cittadina, esse rimasero intatte per secoli e secoli, poi in epoche più recenti risistemate, gli spagnoli le rafforzarono per renderle più resistenti e congrue con i sistemi di difesa del xv° sec., sostanzialmente, l’isola recintata da mura poligonali rimase intatta fino ai tempi recenti come si può ammirare dal link di seguito:

http://slideplayer.it/slide/11204575/

Secondo quanto dice la maggior parte degli scritti e dei cartelli della soprintendenza le mura poligonali che corrono ben al di sotto del livello dell’acqua, sarebbero etrusche, del V° sec. A.C., ma ha supporto di tale tesi non sono esposti reperti o spiegazioni chiarificatrici, rimane un enigma il perchè delle costruzioni ciclopiche e soprattutto il quando?

esistono sicuramente tante convergenze di antichi scrittori che riportavano testimonianze tramandate nei dintorni, da allora lunghissimi dibattiti che sicuramente finiscono col tediare chiunque, possiamo quindi concludere che non vi sarebbero certezze sulla domanda: chi fu a costruire le mura?

porta di Cosa, detta porta fiorentina. p.ruggeri www.megalithic.it

I pelasgi? diversi autori dell’era moderna ed anche alcuni archeologi attestano che le mura non sono troppo diverse da quelle della antica città di Cosa, vicinissima ad Orbetello che però si vuole squisitamente romana, colonia fondata nel 273 a.c., come territorio strappato agli etruschi posta sul promontorio in posizione strategica.

le rovine del tempio di Minerva sulla destra, l’argentario sulla sinistra ed il tombolo di Orbetello al centro. p.ruggeri megalithic.it

A mio avviso, sono da prediligere le tesi meno considerate che riguardano le opere di Cosa e Orbetello in opera poligonale e che descrivono le opere come un tutt’uno antichissimo, quindi un sistema di controllo tra la zona a monte e la zona del porto con canalizzazioni capaci di deviare le maree, canali di deflusso delle acque e altre mirabili opere di cui ancora non conosciamo con chiarezza scopo ed origini.

Dunque per intenderci, le mura che ai miei occhi sono identiche, in realtà, sarebbero frutto di tre civiltà completamente differenti tra loro, stesse mura per etruschi, romani, e pelasgi?

Immaginate se cominciassi a parlare dei nostri centri volsci: romani anch’essi?…, per ora lascerò correre….., ma continuerò dalle premesse, le mura di Orbetello sono datate V° sec. a.c., ma sono uguali a quelle di Cosa, datate III° sec. a.c., avrebbero circa due secoli di differenza e apparterrebbero a due popoli completamente diversi ancora più simili a quelle di santa marinella anch’essa collocata sul mare.

santa marinella P.R. — anche queste datate 263 a.c. romane–

mura di Cosa

Non c’è che dire, nel senso che ci sarebbero diverse similitudini tra le opere murarie che non sembrerebbero in alcun modo confermare quanto affermato dalle fonti ufficiali ossia che le mura fossero state erette a circa due secoli di distanza e da due popoli completamente differenti.

A prima vista le due cinte di mura  sono identiche, in primis per la tipologia costruttiva, sono massi abbastanza imponenti che per peso si attestano intorno alla tonnellata nella media, fino ad arrivare a massi più pesanti dell’ordine delle 6 tonn. spesso utilizzati per essere messi in precompressione, in alto nel muro, sopra a massi più piccoli fungendo da assestanti.

I megaliti, sono ben visibili anche agli angoli del perimetro e sulle porte, la muraglia si alza dal piano del calpestio ma continua interrandosi per alcuni metri, in entrambe i casi sia per Orbetello sia per Cosa.

di seguito alcune foto che dimostrano le similitudini

mura di Orbetello google

Orbetello google

oltre a queste semplici considerazioni, lo studio dei luoghi regala altre stupende opere che contraddistinguono lo stesso territorio, ma rimanderemo ad appositi articoli che sono in fase di realizzazione.

la tagliata (Ansedonia)

La zona di Orbetello affascina in quanto anche la stessa laguna ed i suoi tomboli simmetrici restano spunto di ulteriori indagini, Il Pincherle fu uno studioso che ipotizzò  le antichissime discendenze della zona, affrontando diversi temi geomorfologici e archeologici che ad oggi non hanno avuto il giusto riguardo a mio avviso.

Le mura poligonali restano per molti opera dei romani, forse perchè troppo spesso si è scelto di non guardare oltre i testi antichi, o forse perchè troppo complesso ricostruire un percorso lungo i millenni a ritroso. Ma le soprintendenze farebbero meglio a confrontarsi prima di affiggere cartelli a pochi metri di distanza in cui lo stesso manufatto in opera poligonale viene prima attribuito agli etruschi e poi ai romani, saltando per i secoli come fossero giocattoli per bambini.

Il rispetto per la nostra storia non può ridursi a scrivere cartelli per turisti privi di vaglio scientifico…

Nei prossimi articoli parleremo della tagliata etrusca, della formazione del tombolo di Orbetello, sempre con riguardo alle costruzioni dei popoli preromani e altre considerazioni ci guideranno alla riscoperta delle nostre mura poligonali megalitiche.

Continua…….

 

Il villaggio Talaiotico di “Ses Paisses” ad Artà (Maiorca-Spain)

Ses Paisses come appariva negli anni 60, dal libro “Civiltà Mediterranee” G.Lilliu H.Schubart

Nell’ambito delle civiltà più affini alla “nostra” del centro italia, si intende quelle che usavano recintare le proprie città di mura poligonali ( comprendendo anche quelle dette in “opus incertum”), viene collocata anche la civiltà Talaiotica delle isole Baleari spagnole.

Secondo alcuni tra i più importanti studiosi dell’archeologia Sarda (G.Lilliu) infatti i cosiddetti “popoli del mare” erano identificabili in quelle popolazioni che abitavano il mediterraneo, chiamati anche popoli delle torri,  in arabo “Talaya” ( a ben vedere se fosse anche dal greco θυρσος, da cui anche Tirreni) di tale civiltà, si parla dunque esclusivamente per i ritrovamenti compiuti dagli archeologi sulle isole delle Baleari, Mallorca e Minorca.

Centinaia di torri rinvenute in entrambe le isole maggiori in anni di scavi, costruite con massi, privi di alcuna malta o legante, vennero erette lungo le coste e poi anche disseminate lungo i punti di avvistamento interni delle isole, insediamenti che divennero punti di riferimento, a volte crescevano nella popolazione fino a divenire veri centri di aggregazione per l’esigua civiltà rurale, fin dal 8°sec. a.c. conosciuta e temuta sui campi di battaglia europei.

google

Gli honderos mallorchini, usavano le fionde e riuscivano a lanciare anche grandi sassi, erano mercenari utilissimi in battaglia, gli abitanti dei “poblados talaioticos”, piccoli villaggi che crescevano intorno alla torre principale.

Esistono diverse tipologie di questi villaggi, sorprende l’uso delle pietre per la somiglianza che hanno nell’architettura megalitica più recente del mediterraneo, Lilliu archeologo Sardo conoscitore profondo del fenomeno delle civiltà delle torri nel mediterraneo, fu il fautore di una campagna di scavi che rese il sito alla sua antica forma, e ne scrisse in diversi libri.

tratto dal libro “civiltà mediterranee” g.lilliu -schubart

Secondo lo studio di Lilliu, i talaiot erano usati come luoghi di culto in primis, poi da tombe e anche in altri modi che non conosciamo, nel descrivere il tipo del culto religioso per secoli adoperato in loco, va preso in considerazione che la forma della torre serviva ad innalzare il sacerdote nel momento rituale verso un divino celeste e urano nel medesimo momento, trovandosi di fronte a queste torri anche oggi sembra quasi di immaginare il sacerdote con le mani al cielo, una volta raggiunto il bordo della sommità della torre, invocare gli dei.

Altri aspetti della medesima genia furono le navetas e le taulas, le ultime circoscritte a minorca, mentre le prime , sono presenti su mallorca  e minorca.

navetas de Can Gaia port colom mallorca
p.ruggeri megalithic.it

p.ruggeri ww.megalithic.it

Come già spiegato la presenza di torri erette in opera poligonale senza legante, con basi megalitica, ci accomuna in maniera indussolubile a questi popoli isolani del mediterraneo, alcuni particolari architettonici sono davvero difficili da incontrare, ad oggi, si citano  esempio la torre sulla porta dell’antica Norba, o la curva dell’avamposto poligonale vicino porta stupa di Ferentino.

In effetti esistono diversi talayot costruiti anche di base quadrata, e di questi parliamo proprio per la maggiore affinità con le costruzioni poligonali e megalitiche che nella nostra terra in scala maggiore sembrerebbero identiche.

 

Tali maestrie nel caso dei taliot e dei nuraghe sono chiaramente identificate dall’archeologia in legame tra loro, e mi sovviene di aver letto che secondo lilliu in qualche modo tali costruzioni furono chiaro esempio e marchio di popolazioni antiche della zona anatolica.

Il Villaggio di Ses Paisses si trova a due passi da un rio che garantisce l’acqua agli abitanti, visitarlo riporta il turista ad una vita antica dura e frugale, ma ricca di suggestione noturalistica, il portale realizzato con un trilithion megalitico ci narra la maestria nell’incastonare le pietre tra di loro, per garantire la sicurezza e la visibilità della postazione sul resto del territorio.

buona visione

 

 

 

 

OSCI,TOSCI, VOLCI E VOLSCI…. per alcuni furono la stessa popolazione

Proprio così…, sembra incredibile ma a ben vedere i popoli che, durante le prime fasi di crescita della grande “era romana”, esistevano nei territori del futuro impero, erano, a detta degli antichi scrittori dell’urbe, la progenie di quelle antiche civiltà dalle quali i romani presero la maggior parte delle conoscenze scientifiche e culturali, legate tra loro da lingua e dialetti usanze e tradizioni pre romane.

tavole di Pyrgi (santa marinella-rm) rinvenute in scrittura etrusca e fenicia, simbolo della capacità di interrelazione tra i popoli tirrenici e punici

Popoli italici, che si trovarono per centinaia di anni a lottare contro i romani, in continua ascesa,  erano cittadini, ricchi e nobili, sacerdoti, famiglie e clan, da generazioni abitavano antiche πολεις, popolazioni abituate a dettare  proprie leggi in autonomia all’interno delle mura delle proprie città.

Da qualche tempo ho riscontrato negli scritti, di alcuni autori poco conosciuti, la tesi che tali popolazioni, legate dalla caratteristica di essere di cultura preromana nel centro italia, furono molto spesso accomunate dal mito della loro creazione .

Secondo l’analisi compiuta nell’opera di G. Battista Gennaro Grossi,

http://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-battista-gennaro-grossi_(Dizionario-Biografico)/

di cui andremo a parlare, l’elencazione dei fatti si fa molto semplice, egli scrive che nel divenire storico,  basato sull’antologia degli scritti antichi, nel lazio, da che si possa narrare nella storia, tutto ebbe inizio all’epoca in cui vennero i greci (omero-odissea), lungo il viaggio sulla penisola trovarono popolazioni autoctone, i così detti “aborigeni” (detti dai latini), oppure “autoctoni” (dai greci), secondo l’approfondimento dell’opera, erano abitatori della zona centrale peninsulare italiana, arrivati dal nord, scesero solo dopo che il mare si ritirò e i vulcani si estinsero.

italia ere geologiche

 

Tale ricostruzione viene sposata in linea di massima dalla storiografia e si basa sulla geomorfologia del lazio, attestato che, dopo l’era della glaciazione il mare occupasse buona parte delle pianure laziali, fatta eccezione per i rilievi montuosi degli appennini, e dalla zona vulcanica in particolare a sud dell’odierna Roma.

Secondo la tradizione di Omero, Ulisse, passò per mare, passando dallo jonio, su fino al tirreno, dalle sue cronache un tempo cantate in ogni città, prendiamo spunto per trovare gli unici abitatori incontrati, Ciclopi in sicilia, Eolo nelle Eolie, i Lestrigoni in Lamo (Terracina e piana di Fondi), Circe presso l’isola di Eaa, i Cimmeri presso Cuma e pochi altri cenni in zona italica degni di nota.

viaggio di ulisse -google

 

Non vengono citati altri porti, segno che all’epoca non vi fossero approdi degni di nota, esclusi quelli riportati sopra, che secondo Omero avevano tutti origini mitologiche, come se rappresentassero popolazioni autoctone ed eterne, nel caso dei Lestrigoni e Ciclopi, essi sono descritti come pastori e antropofagi, quasi a delimitarne la fascia di civiltà di appartenenza nella scala di confronto con la cultura greca, già divenuta di alto livello civile.

Logicamente si deduce che Omero non tratta degli aborigeni come popoli venuti da oriente, ne da altre zone lontane, in quanto altrimenti, l’autore avrebbe certamente attestato questa nozione nei suoi racconti.

Nella spiegazione l’autore usa l’espressione aborigeni/autoctoni riferendosi a molti autori come Plinio o  Aurelio Vittore, si passa per il primo alla descrizione degli Umbri e nel secondo nei popoli scampati al diluvio per essersi rifugiati in grotte sui monti, carattere comunque comune anche agli umbri.

“L’alba dell’umanità”, del pittore Franco De Franchis, l’uomo a phi di Sezze, Lt. (mesolitico)

Per Strabone gli stessi popoli di origine arcana e remota sono i Sabini, che anche secondo Diodoro Siculo, vantavano origini da un re iperboreo, che si sarebbe pregato fin dalle origini, presso le zone delle sorgenti del Danubio.

Quindi dai sabini sarebbero nate le colonie picentine e dei Sanniti, così come quelle popolazioni chiamate aborigene del lazio costiero,  spiegava Dionigi di Alicarnasso, questi, discendenti della sabinia, sarebbero scesi nei territori occupati dai Siculi (loro fratelli) per impossessarsi del territorio che va tra il Tevere ed il Liri.

Così anche nell’eneide di Virgilio, suddividendoli come raggruppati sotto i diversi re, sia per gli Italici,  i Sabini.

Gli aborigeni, nel loro primo stadio di civilizzazione, venivano concepiti come antichi sciiti, goti e germani, privi di leggi, dislocati presso terreni dove tutto era di tutti, Giustino, li descrive in quei tempi in cui non v’erano leggi, ne agricoltura organizzata, erano dunque i re/capi ad affrontare ogni responso per tutte le dispute, risultando leggendari per le loro virtù di reggere la convivenza in armonia tra le genti.

La religione degli aborigeni laziali, secondo Dionigi, era rivolta verso il Pico, uccello spedito da Giove, a rendere oracoli posto su di un tronco ligneo sacro, vengono citati anche diversi oracoli, in terre dalle caratteristiche geomorfologiche eccezionali, come laghi vulcanici e solfatare a nord di roma.

Poi venne l’era di Saturno, fu per tutti il tempo in cui gli aborigeni discesero dai monti e affinarono le leggi e l’agricoltura.

tempio di Saturno Roma V° sec.a.c.

Saturno cacciato dall’olimpo raggiunse il lazio e fondò le città  della pentapoli laziale (Atina;Anagni;Alatri;Arpino;Aquino), il Dio saggio era talmente venerato dai latini che il suo culto si tradusse anche in Roma, dove trovò uno dei suoi altari principali, così come riporta Virgilio nell’eneide.

Per quanto riguarda le civiltà, in epoca proto storica, presenti sul territorio del centro italia, in primis, l’autore specifica che furono gli etruschi i primi abitatori d’Italia, venuti a civilizzare le coste tirrene, abitualmente chiamati “tosci” (tusci-etrusci-) dai romani,  sono identificati nei classici  come i primi conquistatori del Lazio, essi stabiliti in primo luogo presso le zone costiere a nord del Tevere, avrebbero poi risalito i fiumi e raggiunto i monti degli appennini, via via scomponendosi attraverso la fondazione di nuove colonie tosche, fino alle coste della campania, dove poi infine, furono chiamati Osci, con Capua come capitale.

presenza etrusca in italia

Successivamente queste colonie stabilite, si sarebbero distaccate fra loro, dotandosi delle mura poligonali di cinta e forti torri (θυρςος- torri- da cui tirreni -in greco), divennero di fatto città stato a se e nonostante avessero, in principio, adottato i riti “tosci”, avrebbero poi fondato i loro riti “osci” o “volsci” .

Suggestiva la ricostruzione, anche se, pone il dubbio sull’eventuale datazione dell’arrivo dei tosci , per alcuni autori sarebbe avvenuta 17 lustri lunari (un lustro circa 5 anni ) prima della guerra di Troia avvenuta approssimativamente nel dodicesimo secolo avanti Cristo.

L’etimologia e la linguistica uniscono i vocaboli dalla medesima radice lessicale,  nel testo si segue un percorso storico dialettale, di base il vocabolo “tosch” veniva utilizzato per indicare gli etruschi,  gli abitanti del luogo,  prima del’arrivo dei coloni greci, secondo il Grossi,  dalla medesima radice, ne segue la trasformazione successiva del medesimo vocabolo originale: “tosci” in “osci” e poi dalla “osch” al vocabolo finale “volsch”.

Un libro carico di riferimenti al territorio laziale, getta una luce antologica sui riferimenti degli antichi testi definiti classici sul nostro territorio,  pieno di suggestioni dell’ottocento, oltre a disegnare una sorta di mappa storica,  è capace di destare la curiosità del lettore fin dal suo inizio.

Le mie considerazioni a fine lettura sono state molte, in quanto, per la prima volta, leggendo, ero stato messo di fronte ad una ricostruzione storica basata su studi del diciannovesimo secolo, quindi prive delle scoperte dell’ultima era.

Nonostante il passaggio dei tempi condivido il fine dello scrittore, esplicitare la domanda che gli rivolge l’amico epistolare lettore dell’opera: chi furono gli antichi aborigeni citati dai classici abitanti dei nostri luoghi d’origine?

Torneremo su questi argomenti sviluppando approfondimenti specifici su alcuni dei restanti temi trattati dall’autore, attraverso nuovi articoli legati al nostro territorio.

Approfittando della vostra attenzione nella riscoperta di tematiche antiche affrontate poco ancora oggi, con il solito spirito di approfondimento, vi lascio con il solito : “continua…”

copertina libro G.B.G.Grossi

 

 

il video n.2 sui #Talaiot di Mallorca

Come vi avevamo anticipato continua la rassegna info e video sulla civiltà talaiotica maiorchina, eccovi il video n°2 sui talaiot Maiorchini, l’esempio in questione si trova nel territorio di Santa Catalina, è privo di cartelli esplicativi ed è ancora in fase di studio dal nostro team (naturalmente ci riserviamo in seguito di aggiornare la mappa e le info a riguardo).

Alcune peculiarità del manufatto sono davvero degne di nota nello studio complessivo delle strutture talaiotiche compiuto su tutta l’isola di Maiorca.

La pianta dell’edificio è di tipo squadrata, questo fa pensare alle differenze con i “poblados talaiotici” i quali vengono classificati di tipo tondo e con pianta circocentrica con una o due torri tronche al centro.

La tessitura dell’opera megalitica, ricorda una maniera di tipo squadrata, ma allo stesso tempo in prossimità degli angoli sono presenti massi incastrati in maniera poligonale ed alcuni tagli per inserto ed incastro.

Molte le domande su questo stile di tessitura che, per alcuni punti si avvicina alla squadratura nostrana di epoca romana e se ne distanzia poi, per altri, soprattutto per il numero delle pietre più piccole utilizzate complessivamente per l’edificio .

Nel video è possibile appurare che anche in questo caso la base di costruzione dell’edificio è rocciosa, quasi a far pensare che ogni talaiot fosse posizionato su un terreno roccioso, poi lavorato e spianato a seconda delle esigenze del progetto realizzativo della costruzione.

Situato sulla via di passaggio più agevole nella valle, la via è pianeggiante  con leggeri dislivelli e corre parallelamente alla costa ed a due passi dal mare in linea d’aria,  proprio sotto la Sierra de Tramontana, si presenta chiaramente come avamposto di controllo e difesa.

La tessitura poligonale emerge in alcuni punti, ad esempio quelli in cui i massi più grandi vengono tagliati ad angolo retto e restano uniti senza malta o zeppe, con le facce perfettamente levigate anche nei punti di incastro ritagliati ad hoc.

Buona visione!