“Colonis saepe mutatis tenuere alii aliis temporibus, Aborigines, Pelasgi, Arcades, Siculi…”
Plinio, Naturalis Historia 3,5.
1. I SICULI
Il nome dei Siculi è associato al termine Σικελόι [Sikelòi], con il quale venivano chiamati dai Greci, cosi come asserisce Tucidide (VI, 2, 1-2), presentando le popolazioni barbare che abitavano la Sicilia preellenica, e ciò viene confermato anche dalla storiografia greca di età romana, Diodoro, Pausania, Strabone, Dionigi di Alicarnasso e sopravvive anche nella letteratura storica latina (Musti 2008). Il nome di questo popolo, secondo Antioco di Siracusa, sostenuto da Dionigi di Alicarnasso, deriverebbe dall’eponimo re Σικελός [Sikelòs], mentre un altro re siculo di nome Italo, secondo Tucidide, avrebbe addirittura denominato l’intera penisola italiana con il proprio nome. Σικελοὶ δ’ ἐξ Ἰταλίας ̔ἐνταῦθα γὰρ ᾤκουν̓ διέβησαν ἐς Σικελίαν, φεύγοντες Ὀπικούς, ὡς μὲν εἰκὸς καὶ λέγεται, ἐπὶ σχεδιῶν, τηρήσαντες τὸν πορθμὸν κατιόντος τοῦ ἀνέμου, τάχα ἂν δὲ καὶ ἄλλως πως ἐσπλεύσαντες. εἰσὶ δὲ καὶ νῦν ἔτι ἐν τῇ Ἰταλίᾳ Σικελοί, καὶ ἡ χώρα ἀπὸ Ἰταλοῦ βασιλέως τινὸς Σικελῶν, τοὔνομα τοῦτο ἔχοντος, οὕτως Ἰταλία ἐπωνομάσθη. Tucidide (Περὶ τοῦ Πελοποννησίου πoλέμου [La guerra del Peloponnesso] VI, 2, 4) [I Siculi dall’Italia (ivi infatti abitavano) passarono nella Sicilia, fuggendo gli Opici, su zattere, secondo la leggenda e la verosimiglianza, dopo aver aspettato di passare allo spirare di un vento favorevole o forse sbarcando in qualche altro modo. Nell’Italia vi sono ancora dei Siculi e il paese fu chiamato Italia da Italo, un re dei Siculi che aveva questo nome]. (Traduzione: Musti 2008) La loro presenza sull’isola, ancora oggi chiamata Sicilia, ne avrebbe fatto conseguire il nome, come sostiene espressamene Diodoro Siculo (V, 2), il quale asserisce che dall’iniziale nome di Trinacria, dovuto alla forma triangolare, l’isola fu chiamata successivamente Sicania dal nome del popolo dei Sicani e infine avrebbe tratto il nome definitivo dai Siculi. [5,2] Καὶ ταύτην τὴν βίβλον ἐπιγράφοντες νησιωτικὴν ἀκολούθως τῇ γραφῇ περὶ πρώτης τῆς Σικελίας ἐροῦμεν, ἐπεὶ καὶ κρατίστη τῶν νήσων ἐστὶ καὶ τῇ παλαιότητι τῶν μυθολογουμένων πεπρώτευκεν. Ἡ γὰρ νῆσος τὸ παλαιὸν ἀπὸ μὲν τοῦ σχήματος Τρινακρία κληθεῖσα, ἀπὸ δὲ τῶν κατοικησάντων αὐτὴν Σικανῶν Σικανία προσαγορευθεῖσα, τὸ τελευταῖον ἀπὸ Σικελῶν τῶν ἐκ τῆς Ἰταλίας πανδημεὶ περαιωθέντων ὠνόμοσται Σικελία. Diodoro Siculo (Βιβλιοθήκη ἱστορική [Biblioteca storica] V, 2) [Avendo io pertanto intitolato questo libro insulare, primieramente parlerò della Sicilia; perciocché essa è la più eccellente tra le isole, e tiene facilmente il primate per l’antichità delle cose degne d’essere rammentate. Anticamente chiamossi Trinacria per la sua figura triangolare. Di poi fu detta Sicania dai Sicani, che la coltivarono: indi Sicilia dai Siculi, I quali in essa passarono dalla Italia in gran numero]. (Traduzione: Compagnoni 1820) Si deve ritenere che i Siculi, come le altre popolazioni preelleniche insediatesi in momenti diversi in Sicilia, dopo essere entrati in contatto con i coloni greci, che dall’VIII secolo a.C. avevano iniziato a colonizzare l’isola, si siano mischiati e integrati progressivamente ad essi. Quindi si può ritenere che i Siculi apprendendo e integrando progressivamente la cultura dei Greci, iniziarono un processo di acculturazione e grecizzazione che li portò a fondersi gli uni con gli altri, sino al punto che tutti gli abitanti dell’isola vennero denominati in seguito Sikeliotai, prescindendo dall’etnia d’origine. ὕσταται δ´ ἀποικίαι τῶν Ἑλλήνων ἐγένοντο κατὰ τὴν Σικελίαν ἀξιόλογοι καὶ πόλεις παρὰ θάλατταν ἐκτίσθησαν. ἀναμιγνύμενοι δ´ ἀλλήλοις καὶ διὰ τὸ πλῆθος τῶν καταπλεόντων Ἑλλήνων τήν τε διάλεκτον αὐτῶν ἔμαθον καὶ ταῖς ἀγωγαῖς συντραφέντες τὸ τελευταῖον τὴν βάρβαρον διάλεκτον ἅμα καὶ τὴν προσηγορίαν ἠλλάξαντο, Σικελιῶται προσαγορευθέντες. Diodoro Siculo (Βιβλιοθήκη ἱστορική [Biblioteca storica] V, 6, 5) [Ultimi, ma degni di fama, sono gli insediamenti e le poleis che dai Greci vennero fondati sulle coste; (gli indigeni) mischiandosi con essi, a causa del gran numero di Greci sbarcati sull’isola, appresero la loro lingua e, venendo educati secondo il modello greco, abbandonarono il loro dialetto barbaro ed il loro nome, venendo chiamati tutti Sicelioti]. (Traduzione: Chiai 2002)
2. L’ORIGINE DEI SICULI
L’origine di questo popolo è molto dibattuta con opinioni differenziate sia nella storiografia antica sia in quella contemporanea. Secondo Dionigi di Alicarnasso (I, 9, 1) i Siculi erano autoctoni e quindi non indoeuropei, elemento sostenuto anche da storici moderni (Miceli 1836) che li inseriscono tra le antiche popolazioni italiche aborigene, accanto ai Veneti o Venetici, Liguri, Sardi o Nuraghi e altri. Lo stesso Dionigi sostiene che questo popolo avesse in qualche modo un’origine laziale, ricordando come molte località ai suoi tempi avessero ancora denominazioni sicule, in ricordo dei loro primi abitanti. τὴν ἡγεµόνα γῆς καὶ θαλάσσης ἁπάσης πόλιν, ἣν νῦν κατοικοῦσι Ῥωµαῖοι, παλαιότατοι τῶν µνηµονευοµένων λέγονται κατασχεῖν βάρβαροι Σικελοί, ἔθνος αὐθιγενές: τὰ δὲ πρὸ τούτων οὔθ᾽ ὡς κατείχετο πρὸς ἑτέρων οὔθ᾽ ὡς ἔρηµος ἦν οὐδεὶς ἔχει βεβαίως εἰπεῖν. χρόνῳ δὲ ὕστερον Ἀβοριγῖνες αὐτὴν παραλαµβάνουσι πολέµῳ µακρῷ τοὺς ἔχοντας ἀφελόµενοι: Dionigi di Alicarnasso (Ρωμαικη αρχαιολογία [Antichità romane] 1, 9, 1). [Si dice che i più antichi abitatori della città, che ora è abitata dai Romani e che domina la terra e il mare, siano i Siculi, e cioé una popolazione barbara e autoctona. Nessuno invece è in grado di affermare con certezza se prima di costoro quest città fosse occupata da altri o fosse disabitata.Il popolo degli Aborigeni ne prese possesso dopo lunga guerra, dopo averla strappata ai precedenti possessori.] (Traduzione Cantarelli 1994). Anche Varrone (V, 101), vissuto nel primo secolo a.C., evidenziando le similitudini tra la lingua sicula e quella latina confermerebbe indirettamente l’origine laziale dei Siculi. Lepus quod Siculi quidam Graeci dicunt λέποριν. A Roma quod orti Siculi, ut annales veteres nostri dicunt, fortasse hinc illuc tulerunt et hic reliquerunt id nomen. Volpes, ut Aelius dicebat, quod volat pedibus. Marco Terenzio Varrone (De lingua latina, V, 101) Filisto di Siracusa, storiografo magno greco del IV secolo a.C., nella sua Storia della Sicilia (Sikelikà), attribuisce origini liguri a questo popolo, che quindi proveniva dal nord prima del suo insediamento finale nell’isola (Sergi 1934).
3.LA PRESENZA DEI SICULI NEL LATIUM
I Siculi sono considerati tra i più antichi abitatori del Lazio, da Plinio (III,56), Virgilio (Eneide 7,95), Dionigi D’Alicarnasso, territorio dal quale furono successivamente scacciati da altre popolazioni indigene, per raggiungere la Trinacria attorno al secolo XV a.C., che da loro e dal popolo dei Sicani prese il nome di Sicilia (Martelli 1830). Si è già detto della testimonianza di Dionigi di Alicarnasso sul fatto che ancora al suo tempo (60 a.C. circa – 7 a.C.) molte località avessero ancora denominazioni che ne ricordavano la fondazione da parte dei Siculi (Ρωμαικη αρχαιολογία [Antichità romane] 1, 9, 1). Colonis saepe mutatis tenuere alii aliis temporibus, Aborigines, Pelasgi, Arcades, Siculi, Aurunci, Rutuli et ultra Cerceios Volsci, Osci, Ausones, unde nomen Lati processit ad Lirim amnem. Plinio (Naturalis Historia 3, 56). [I suoi abitanti (del Latium n.d.r.) mutarono spesso, avvicendandosi nel corso del tempo: Aborigeni, Pelasgi, Arcadi, Siculi, Aurunci, Rutuli; e, oltre il Circeo, Volsci, Osci e Ausoni: estendendosi a questi popoli il nome del Lazio avanzò sino al fiume Liri.] (Traduzione Corso et al. 1988). Diverse antiche città dei prisci Latini si attribuiscono all’originaria fondazione da parte dei Siculi, come ad esempio la potente Aricia, Gabii, Crustumerio e la stessa Ecetra, capitale dei Volsci dell’entroterra o Volsci Ecetrani (Pinza 1898). E sempre Dionigi d’Alicarnasso (in Ρωμαικη αρχαιολογία [Antichità romane]) cita un articolato elenco di antiche ed importanti città laziali tra quelle fondate dai Siculi, tra le quali Falerii, Fescennio (1, 21), Tibur (1, 16), Cenina, Antennae (2,35). Persino in una disposizione delle XII Tavole, che riguarda specificatamente la pratica scarnificatrice tipica del popolo siculo, è possibile trovare una conferma della penetrante influenza delle tradizioni sicule sulla prima popolazione di Roma, che permaneva ancora all’epoca della redazione della prima legge scritta romana, nel 450 a.C. (Mancini 2014). Dell’insediamento di questo popolo nel Latium ed in particolare nel Latium Vetus, ci danno testimonianza le tombe rinvenute a Cantalupo in Sabina e nella vicina Corneto Tarquinia. Anche la storiografia contemporanea concorda sulla presenza dei Siculi nel Latium, (Barbagallo 1972, Ambrosi De Magistris 1979, Musti 1992).
4.LA TOMBA DI SGURGOLA (FR)
Secondo alcuni, i Siculi utilizzavano un rituale funerario inumatorio deponendo i cadaveri in piccole tombe a forno, nelle quali, secondo un’usanza funeraria che sarebbe caratteristica di questo particolare popolo, le ossa degli estinti erano inumate dopo una preliminare scarnificazione e a volte erano anche tinte con coloranti rossi (Barbagallo 1972, Ambrosi De Magistris 1979, Musti 1992). In questa ottica si ritiene che la disposizione n.5 della Tabula X della famosa Legge delle dodici tavole fosse riferita a questa usanza scarnificatrice tipica del popolo Siculo, in questo modo si avrebbe una conferma, seppure indiretta, del fatto che dovette essere stata penetrante l’influenza delle tradizioni Sicule sulla prima popolazione di Roma e che essa dovette permanere ancora all’epoca della redazione della prima legge scritta romana nel 450 a.C.
… Homine mortuo ne ossa legito, quo post funus faciat …..
Lex duodecim tabularum leges, (X, 5). [Di un uomo morto non si raccolgano le ossa per farne dopo i funerali ….] in sostanza le esequie dovevano aver fine colla cremazione del cadavere e la immediata sepoltura delle ceneri (ndr). Nel 1879 fu trovata una tomba preistorica presso la località Casale Ambrosi, nella valle del Sacco, presso la stazione ferroviaria di Sgurgola, attualmente comune in provincia di Frosinone. La sepoltura a scheletro rannicchiato attribuita alla facies di Rinaldone, scavata in una piccola grotta di travertino con un ricco corredo integro costituito da numerose punte di freccia, un’ascia a martello, un pugnale di rame tipo Guardistallo e un vasetto a fiasca (Pinza 1905). Lo scheletro rinvenuto all’interno della tomba risultava di sesso maschile e le misure delle ossa lunghe davano una statura approssimativa di m. 1,62, rivelando anche una certa robustezza della struttura fisica dell’individuo. (Pigorini 1880) Sotto il profilo morfologico questo scheletro si accosta alla media delle disposizioni morfologiche presentate dalle popolazioni eneolitiche della Sicilia (Giuffrida-Ruggeri 1906). Il prof. Luigi Pigorini, fondatore dell’omonimo museo in Roma e grande paletnologo, nel 1880 scriveva di aver acquistato il materiale rinvenuto in quella tomba e di aver notato una colorazione rosso vivo nella parte anteriore del cranio umano e in alcune punte di selce, parte del corredo tombale (Pigorini 1880). Questi reperti sono oggi esposti presso il museo Etnografico Pigorini. Le analisi commissionate dal prof.Pigorini al dott.Ruggero Panebianco, assistente al gabinetto mineralogico della Regia Università di Roma, evidenziarono che la tintura di tutti i reperti era della stessa natura e composizione, e precisamente il colorante è stato riconosciuto come cinabro applicato in tempi remoti (Pigorini 1880), un minerale, appartenente alla classe dei solfuri, noto già ai Greci, costituito chimicamente dall’unione di zolfo e mercurio. Si rilevò che la tintura non fosse accidentale, sia in ragione dell’uniformità della tintura che della sovrapposizione di strati di calcite, bensì applicata intenzionalmente da chi compose la reliquia nel sepolcro, eseguendo di conseguenza una preliminare scarnificazione del defunto. È quindi ragionevole ritenere che questa manifestazione costituisse un rituale funebre proprio di questo popolo, comportamento che all’epoca della scoperta della tomba appariva del tutto nuovo (Pigorini 1880). Peraltro il cinabro è un minerale non presente nell’area della valle del Sacco. Per la sua capacità di trasformarsi in mercurio, il cinabro è tra i più studiati materiali dagli alchimisti ed esoterici di varie epoche ed ambienti e anche in tempi moderni Julius Evola utilizza il nome di questo minerale per il titolo del suo testo “Il cammino del cinabro” (Evola 2014) che dietro un’apparente narrazione autobiografica rivela un contenuto esoterico e alchemico.
IMMAGINI curate da M.Mancini:
La tomba eneolitica di Sgurgola (FR) nella sua teca presso il Museo etnopgrafico Luigi Pigorini di Roma.
Particolare del cranio con la caratteristica colorazione rossa delle ossa facciali.
Particolari del corredo funerario, come si può rilevare anche le punte di freccia presentano la medesima colorazione rituale rossa applicata sul cranio.
6.BIBLIOGRAFIA
Ambrosi De Magistris 1889: R. Ambrosi De Magistris, Storia di Anagni, Roma 1889. Barbagallo 1975: I. Barbagallo, Frosinone, lineamenti storici dalle origini ai giorni nostri, Frosinone 1975. Cantarelli 1984: Storia di Roma arcaica (le antichita romane) di Dionisio di Alicarnasso; a cura di F.Cantarelli, Milano 1984. Chiai 2002: G.F. CHIAI, Il nome della Sardegna e della Sicilia sullo rette dei Fenici e dei Greci in età arcaica. Analisi di una tradizione storico-letteraria, in Rivista di Studi Fenici XXX, 2, CNR, Roma, 2002. Compagnoni 1820: Biblioteca storica di Diodoro Siculo, volgarizzata dal cav.Compagnoni, Sonzogno, Milano 1820. Corso et al. 1988: Gaio Plinio Secondo, Storia Naturale, traduzione e note di A.Corso, R.Mugellesi, G.Rosati, Torino 1988. Evola 2014: Julius Evola, Il cammino del Cinabro, Edizioni Mediterranee, Roma 2014. Giuffrida-Ruggeri 1906: V. Giuffrida-Riggeri, Elenco del materiale scheletrico preistorico e protostorico del Lazio, Società romana di antropologia, Roma 1906. Mancini 2014: M. Mancini, I Volsci e il loro territorio, Mancini Editore, Frosinone 2013, seconda edizione 2014. Martelli 1830: F. Martelli, Le antichità de Sicoli, primi e vetustissimi abitatori del Lazio e della provincia dell’Aquila, Aquila 1830. Micali 1836: G. Micali, Storia degli antichi popoli italiani, Milano 1836. Musti 2008: Erodoto e Tucidide, Storie – La guerra del Peloponneso, saggio introduttivo di D.Musti, a cura di C.Moreschini, F.Ferrari, G.Daverio Rocchi, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, Milano 2008. Musti 1992: D. Musti, L’immagine dei Volsci nella storiografia antica, in I Volsci. Undicesimo incontro di studio del Comitato per l’archeologia laziale [= Archeologia laziale, XI,1], Roma 1992 (Quaderni di archeologia etrusco-italica, 20), pp. 25-31. Pigorini 1880: L. Pigorini, Avanzi umani e manufatti litici coloriti dell’età della pietra, in «Bullettino di paletnologia italiana», 6, 1880, n. 3 e 4, pp. 33-39. Pinza 1898: G. Pinza, Le civiltà primitive del Lazio, Roma 1898. Pinza 1905: G. Pinza, Monumenti primitivi di Roma e del Lazio antico, Roma 1905. Sergi 1934: G. Sergi, Piccola Biblioteca di Scienze Moderne, “Da Albalonga a Roma. Inizio dell’incivilimento in Italia, ovvero Liguri e Siculi”, Fratelli Bocca Editori, Torino, 1934. APPROFONDIMENTI MULTIMEDIALI I Siculi nel Latium Adiectum di M.Mancini. https://www.youtube.com/watch?v=l-n57NTTqTs